Sistema carcerario: quando lo Stato non fa lo Stato

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Roma, carcere Regina Coeli, dove sono detenute persone poco pericolose, alcune delle quali, detenuti di riguardo, come politici, appartenenti alle forze dell’ordine, colletti bianchi, un detenuto è stato sequestrato per due giorni, torturato, minacciato lui e, alla madre estorti soldi al telefono.

E’ successo a luglio scorso.

Dovevano arrivare una serie di cellulari e droga a molti detenuti, forse lanciati dalle strade limitrofe le mura del carcere poco controllate, evidentemente.

Alcuni di essi pretendevano che uno dei cellulari fosse nascosto da un altro detenuto che si è rifiutato. Per questo motivo è scattata la reazione violenta.

La procura di Roma indaga.

Casi simili sono quasi all’ordine del giorno in tutta Italia: droghe, telefonini, pizzini, armi rudimentali presenti all’interno di un luogo che dovrebbe essere super controllato.

In molti di questi casi si scopre che c’è un vero tariffario per avere questi oggetti. Il cellulare è quello più ambito visto che le persone dovrebbero essere tagliati fuori dal mondo esterno.

Non tutti poi hanno necessità di chiamare parenti o amici.

I mafiosi, i criminali di professione, spesso, hanno necessità di garantirsi rispetto e mantenere il posto che avevano all’interno dell’organizzazione.

E il telefonino è il mezzo più efficace.

Le tante mafie che impestano questo Paese hanno interessi ha ribadire il loro potere anche dentro i luoghi di detenzione per dimostrare che comandano veramente come fossero uno (anti) “stato”.

Così, i penitenziari, diventano piazze di spaccio e luoghi di sopraffazione con lo schiacciamento e avvilimento degli agenti della Penitenziaria, i quali, lasciati soli dalle Istituzioni, sono esse stesse vittime e, loro malgrado, carnefici (a volte), costretti a subire gli ordini e le regole non scritte ma inappellabili e cogenti della criminalità.

Inutile qui ricordare i tanti episodi, sparsi in tutta Italia, di suicidi, omicidi, estorsioni, violenze varie che si compiono in tutte le carceri, anche quelle di massima sicurezza. Numerosi sono gli arresti di agenti e denunzie verso i detenuti per corruzione e possesso di materiali vietati all’interno delle carceri.

Nel 2008, in Calabria, tra le tante carte processuali, saltarono fuori lettere di detenuti, molti dei quali ristretti al 41bis, che si scambiavano lettere di auguri per Natale e Pasqua con le tipiche frasi ossequiose di certe zone (Francesco Sergi, Domenico Paviglianiti, Giuseppe Graviano, Giuseppe Gullotti).

Le restrizioni al c.d. 41bis, sono giustificate per evitare che i più pericolosi detenuti possano continuare a perpetrare reati nonostante la detenzione. Evidentemente trovano il modo per avere contatti non controllati con l’esterno.

Insomma, una situazione fallimentare e pericolosa.

Si aggiunga che, stando ai dati del ministero della Giustizia, del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Associazione Antigone e altri, ogni anno si registrano suicidi per le pessime condizioni carcerarie.

Tutto questo per ricordare, ancora una volta, che lo Stato italiano non fa lo Stato, si è spogliato delle sue funzioni e, peggio, le ha demandate alle varie criminalità organizzate che, con forza persuasiva e violenza, hanno trovato ampi spazi di manovra.

Il mio pensiero va a tutti quelli della Polizia Penitenziaria che, ripeto, sono vittime, e tal volta, carnefici per induzione involontaria quando, i loro superiori, guardano da un’altra parte.

La politica pensa a bruciare montagne di milioni di euro, per esempio, per un ponte sullo Stretto, quanto invece bisognerebbe investire in servizi, opere necessarie per i cittadini.

Tutti i cittadini, liberi e detenuti. E naturalmente, tra questi, pure quelli della Polizia Penitenziaria.

La precisazione, purtroppo, va fatta.