Home ATTUALITA' Sottomessi e felici: il caso clinico dell’Italia (e dell’UE)

Sottomessi e felici: il caso clinico dell’Italia (e dell’UE)

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Si dice che il peso geopolitico di uno Stato si possa misurare dai trattati, gli accordi commerciali, le alleanze militari. Oggi, alle volte, possono bastare delle foto per intuire i rapporti di potere fra le nazioni. Recentemente i leader europei si sono recati alla Casa Bianca insieme al presidente ucraino e le foto uscite sulla stampa internazionale sono eloquenti e offrono un prezioso spunto di riflessione sul caso clinico dell’Italia (e dell’UE): felice di essere provincia.

I leader europei seduti davanti a Trump come scolari dal preside, Macron e Zelensky costretti ad ammirare la collezione di cappellini MAGA, Ursula Von der Leyen relegata in periferia, Meloni che sorride al presidente degli Stati Uniti come una bambina di fronte a Babbo Natale. Queste sono le immagini che la Casa Bianca e la stampa mondiale hanno diffuso dopo il recente vertice fra USA, UK, Ucraina e UE[1]. Non è vera politica estera: è scenografia. Ma questa scenografia dice simbolicamente molto: l’Europa è solo una comparsa.

Lo scatto principale sembra uscito da un set televisivo: Trump alla scrivania, accanto alla lavagna con disegnata la mappa dell’Ucraina, tutti gli altri a guardarlo concentrati, come concorrenti di un talent show davanti al giudice. Scena grottesca, eppure rivelatrice: l’Europa non è un soggetto politico, è oggetto. Applaude, sorride, annuisce o ringhia a comando.

A sancire e provare ulteriormente questo status di vassalli è stato lo stesso Scott Bessent[2], segretario al tesoro USA, che, intervistato da Fox News ha affermato che gli accordi in atto imporranno agli alleati (giapponesi, coreani ed europei) di investire soldi negli Stati Uniti dove sarà loro indicato, come fossero dei fondi sovrani offshore[3].

L’Italia è entusiasta di questo ruolo, poiché il nostro è un caso clinico di provincialismo. Ci basta un “bravo” dall’estero e subito si apre lo spumante. È un riflesso condizionato che viene da lontano, forse dal viaggio di De Gasperi del 5 gennaio del 1947, quando, portato in trionfo a Washington, venne celebrato in patria con un “finalmente ci considerano!”. Da allora nulla è cambiato: una copertina sul Time vale più di ogni misura finanziaria, una stretta di mano a Gates, una cena con Musk, un accordo con un fondo estero per la vendita dell’ennesima azienda strategica possono garantire il ruolo di statista illuminato.

L’Italia è entusiasta di questo ruolo, poiché il nostro è un caso clinico di provincialismo. Ci basta un “bravo” dall’estero e subito si apre lo spumante. È un riflesso condizionato che viene da lontano, forse dal viaggio di De Gasperi del 5 gennaio del 1947, quando, portato in trionfo a Washington, venne celebrato in patria con un “finalmente ci considerano!”. Da allora nulla è cambiato: una copertina sul Time vale più di ogni misura finanziaria, una stretta di mano a Gates, una cena con Musk, un accordo con un fondo estero per la vendita dell’ennesima azienda strategica possono garantire il ruolo di statista illuminato.Meloni compiace oggi Trump come in passato si sciolse per i complimenti di Biden. Renzi, ai tempi, sostenne Obama come una cheerleader, e di recente l’ex ministro della salute Speranza, si è fatto fotografare fra il pubblico, al convegno dei democratici USA, con tanto di cartello a sostegno di Kamala Harris.

L’esempio più lampante del provincialismo italiano può essere la reazione all’elezione di Mario Draghi come primo ministro, elogiato in pompa magna dalla stampa estera e diventato per questo orgoglio nazionale, l’orgasmo collettivo del sistema Italia, come se l’approvazione di stati terzi valesse più di qualsiasi consenso interno.

(Luka Petrilli – lafionda.org)