Meloni e la destra hanno una banca. Ed è un problema

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L’acquisizione di Mediobanca da parte del Monte dei paschi di Siena pone due ordini di problemi. Uno nazionale, sull’indipendenza, la libertà e l’efficienza del nostro sistema economico. Uno europeo: la creazione di un integrato sistema bancario su scala continentale, concorrenziale, è un passo importante per poter investire in quei beni comuni, europei (che per dimensioni e interesse conviene produrre in maniera integrata), dalla difesa e sicurezza all’ambiente, al digitale all’intelligenza artificiale, di cui abbiamo bisogno; e questa mossa va nella direzione opposta.
«Abbiamo una banca»

Partiamo dal primo problema. Qui siamo al molto più, molto peggio, dell’«abbiamo una banca», l’infelice frase pronunciata da Piero Fassino quand’era segretario dei Ds (nel 2005), riferendosi all’acquisizione della Bnl da parte di Unipol.

Intanto per le dimensioni: in sé Bnl e Mediobanca sono all’incirca comparabili, ma Mediobanca è anche il primo azionista di Assicurazioni Generali, che da sola vale dieci volte Unipol; inoltre, Mediobanca in questo caso viene acquisita dal Monte dei paschi, già di suo più grande di Unipol.

Ma poi, anche (o soprattutto), per la natura di quest’operazione. Unipol non dipende dal governo o dalla politica, può avere un’affinità ideale con il centro-sinistra ma rimane un istituto privato (controllato dal non profit), che in quanto tale opera liberamente sul mercato; di improprio c’era quindi, semmai, quella frase di Fassino (che peraltro all’epoca era all’opposizione).

Qui invece è ben altra cosa. Intanto abbiamo il governo, in prima persona. Che ha favorito l’operazione e punta a mettere uomini di sua fiducia alla guida di Mediobanca e, inoltre, ha ancora una partecipazione consistente nel Monte dei paschi (è stata ridotta a partire dal 2023, in ottemperanza agli impegni presi con la Ue quando la banca fu salvata nel 2017, ma rimane ancora all’11,7 per cento).

Del resto, Mediobanca giudica ostile la scalata, che viene mal vista anche dai mercati perché non sembra produrrà grandi sinergie. In sintesi: il governo procede a prendere il controllo, contro il parere dei mercati, di una parte importante del sistema bancario e assicurativo italiano, da cui dipende poi la vita di tante imprese private.

Giorgia Meloni crea così un sistema di controllo politico, perlopiù indiretto, sull’economia italiana, un controllo non motivato da esigenze economiche né tantomeno strategiche: ed è la prima volta che questo accade dai tempi della Prima repubblica (o del fascismo). Ripetiamo infatti che non c’è alcuna vera ragione economica dietro questa operazione (al contrario), né di interesse nazionale: è una mera operazione di potere.
La via della rinazionalizzazione

Il secondo problema riguarda l’Europa. Intanto, con l’attuale offerta Mps si pone al di sopra della soglia di acquisizione (20 per cento) fissata dalla Bce e bisognerà capire come rientrare. Ma non c’è solo questo. L’accorpamento, peraltro senza un chiaro ritorno economico, del nostro sistema creditizio sotto l’egida del governo non è quello di cui abbiamo bisogno.

Quello di cui c’è bisogno è un sistema creditizio concorrenziale, libero da ingerenze politiche, in cui le fusioni avvengano sulla base di vantaggi economici e possano avere, dove è utile, anche una dimensione sovranazionale.

È questa la strada che consente di completare il mercato finanziario europeo. E la creazione di una infrastruttura finanziaria europea, concorrenziale e sovranazionale, è indispensabile per attivare la gamba privata degli investimenti europei nei settori strategici e nei beni comuni, di cui si è detto.

L’Italia di Meloni sceglie invece la via della rinazionalizzazione, in tutti e due i sensi: politica e identitaria. Chi scrive, purtroppo, non è affatto stupito di questa “degenerazione”: le radici e i riferimenti ideali di Meloni e del suo partito portano tutti qui e, se non vogliamo scomodare il fascismo, basta guardare Viktor Orbán, Donald Trump, Vladimir Putin, esplicitamente lodati (sì, anche Putin, prima che invadesse l’Ucraina) e rivendicati come modelli, o alleati. È ora che anche i nostri “liberali” ne prendano atto.

Emanuele Felice