I 70 chilometri più criminali della statale 16, la famosa Adriatica che collega Otranto a Padova, il Sud e il Nord di costa (mille chilometri in tutto) separano Cerignola da San Severo, il Sud e il Nord dei malacarne. Sono gli estremi urbani della quarta mafia, la cui capitale, al centro della geografia malandrina, è Foggia, dov’è insediata la cosiddetta “Società foggiana”, una spa del crimine territoriale oggi sugli scudi: volgare, dai modi brutali e con la postura sfacciata del boss che non deve chiedere mai.
TikTok rappresenta l’atterraggio perfetto per le gesta criminose: la piazza social ama le scene crude, il coltello in vista, la sparatoria di corto raggio, la scazzottata en plein air. Tiene al brivido, e la cattiveria fa like.
La statale 16, dritta come una canna di fucile, la percorro assieme ad Angelo Casto, imprenditore agricolo di Orta Nova, paese che precede Foggia e propone, diversamente dagli altri luoghi dell’aggregazione criminale, un clan monopolista: il clan dei Gaeta.
Dodici anni fa, Angelo finì dritto nella tomba della morte civile: lui – coraggioso testimone della lotta al malaffare – impegnato a sinistra per dare al paese un’amministrazione pulita, lontana dal clan e dalla corruzione, scoprì che sua figlia si era incapricciata di un ragazzo appartenente allo spietato clan locale. “Per sei anni ero stato segretario della sezione cittadina dei Democratici di sinistra e avevo indicato l’unica scelta possibile: alzare un muro invalicabile per impedire alla delinquenza di tracimare. D’un tratto mi trovo mia figlia, che avevo visto interessata, partecipe, felice di stare dalla parte giusta, capovolgere il mondo, la mia storia, la mia dignità, la mia stessa vita”.
Prima la rabbia, poi la vergogna per quella scandalosa love story, infine la decisione: “Decisi di sparire. Ecco, sparire è il verbo giusto”. Angelo per anni non si è fatto più vedere e ancora adesso non frequenta il suo paese: “Non conosco quasi più nessuno e penso di aver fatto la cosa giusta”.
Alle porte di Cerignola il primo segno del gangsterismo da strada inquadrato alcuni giorni fa su TikTok: i banditi che fanno accostare al guardrail un automobilista, gli impongono di inginocchiarsi e con la sicurezza di chi si sente un’autorità del ramo, si mettono al volante. È una Mercedes, buona per il mercato dei Balcani, sempre fiorente e in cerca di auto di grossa cilindrata.
Migliaia di visualizzazioni: il crimine si fa teatro e i banditi divengono attori quasi rispettati. “È un fenomeno mostruoso attivato da una criminalità spaccona, esibizionista e violenta. I social producono i multipli di una popolarità che inquina la coscienza collettiva”, dice don Pasquale Cotugno, direttore della Caritas, il cui grande edificio che ospita gli immigrati espulsi dalle campagne (le braccia africane servono soprattutto nei tempi di raccolta del pomodoro e poi basta) sorge ai limiti delle fosse del grano, circa 600 cisterne sotterranee dove i contadini di Cerignola, granaio d’Italia, raccoglievano e custodivano il frutto della propria fatica di un anno intero.
Siamo nel Tavoliere di Puglia e Cerignola fino al 1980 è conosciuta come la città di Giuseppe Di Vittorio, il capo della Cgil nel dopoguerra e padre delle lotte bracciantili. Fu Raffaele Cutolo a tenere a battesimo la quarta mafia, che nel giro di pochi anni si affrancò dalla tutela della camorra napoletana e investì nella propria autonomia.
I cerignolesi, nel vasto bouquet dei clan affiliati, rappresentano l’ala banditesca specializzata, oltre che al racket e al commercio di droga, al furto d’auto e alle rapine complesse. Nella hit parade dei colpi andati a segno si ricorda il quintale e mezzo di oro (si perse qualche chilo durante la fuga) raccolto in Toscana, a Poggio Bagnoli, nell’Aretino, nella sede di una azienda orafa.
Catanzaro, Ferrara, Bologna sono state città puntate dalle bande di Cerignola. Don Pasquale elenca una speciale versatilità del crimine: “Qui si ruba di tutto, televisori, automobili, valori bollati, oro. Si estorce, si consuma droga, si esporta. C’è il racket delle braccia e quello della droga. C’è un interesse negli appalti, una capacità di presidiare gli snodi finanziari pubblici. Qui la società civile arranca”. La prosa di don Pasquale si fa dura: “La città è spesso collusa, tende a non allarmarsi, anzi a volte è destinataria dei traffici, diviene l’utilizzatrice finale: vuoi un orologio buono a prezzo stracciato? Ti serve un televisore perfetto per 50 euro? Un paraurti da 20 euro?”.
Il capoluogo del crimine, centro di smistamento e diversificazione degli affari (dalla droga, al movimento terra, alla grande e piccola ricettazione) è Foggia dove appunto è issata la forza militare eversiva.
La “società foggiana” è strutturata su un modello di tipo federativo e articolata in tre “batterie”, che sarebbero gruppi avanzati criminali. C’è la batteria dei Sinesi-Francavilla, dei Triscuoglio-Tolonese, dei Moretti-Pellegrino-Lanza.



