Proteine Alternative: per un mercato da 240 miliardi la chiave è il dialogo tra innovazione e gusto
Dagli Stati Generali delle Proteine Alternative emerge il quadro di un settore, quello delle alternative vegetali, in pieno boom destinato a raggiungere i 238,7 miliardi di dollari a livello globale entro il 2034.
Il 51% degli europei (e il 59% degli italiani) sta riducendo il consumo di carne per motivi di salute (47%) e sostenibilità (26%). Per accelerare la transizione verso le proteine alternative, l’obiettivo è soddisfare i criteri dei consumatori: gusto eccellente, prezzi più accessibili e maggiore percezione di naturalezza dei prodotti.
L’Italia è la prima nazione in Europa per numero di ricercatori nel settore (633) ma la chiave per ottenere fiducia dai consumatori è la percezione di “naturalezza” e tradizione: le persone scelgono ciò che conoscono.
Un mercato globale in piena espansione, spinto da un’innovazione senza precedenti, che si scontra però con la sfida più difficile: il piatto del consumatore. È questo il paradosso che definisce oggi il settore delle proteine alternative: da un lato, un contesto di urgenza in cui il consumo mondiale di carne è destinato ad aumentare del 50% entro il 2050; dall’altro, segnali di cambiamento visibili, con il 51% degli europei che nel 2023 ha ridotto il consumo di carne – con Paesi come Italia e Germania in testa (59%).
Una consapevolezza che si traduce in un approccio più ponderato al consumo. Si assiste quindi a una ridefinizione del rapporto anche con la carne, vista come un alimento da consumare “responsabilmente”, ad esempio scegliendo carni di alta qualità, locali o da piccoli produttori. La vera sfida, quindi, è sia tecnologica, che culturale: rendere le innovazioni non solo disponibili, ma realmente desiderabili dal punto di vista del gusto e delle proprietà nutritive.
È il quadro che emerge dagli Stati Generali delle Proteine Alternative (SGPA), l’evento di riferimento per il settore che si è tenuto a Milano presso la Fondazione Feltrinelli di Milano. Ideato da Maurizio Bettiga (Chief Innovation Officer di Italbiotec Srl Società Benefit) e organizzato dal team Italbiotec Srl SB, il dibattito si è articolato in sessioni dedicate a “Ricerca e mercato“, con un focus sulla fermentazione in sinergia con Tofflon-Itema, la joint venture italo-cinese che ha come mission quella di accelerare l’innovazione in ambito biopharma e bioscience con soluzioni integrate e tecnologie d’avanguardia; “Innovazione e industria“, coordinata da Good Food Institute Europe; “Comunicazione ed etica“, ideata dal dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino e “Nutrizione e Salute” grazie al contributo speciale di OnFoods.
Riunendo scienziati, aziende, agricoltori e istituzioni, gli Stati Generali delle Proteine Alternative hanno fatto il punto sulla più grande trasformazione del sistema alimentare contemporaneo.
A guidare questa trasformazione è un’ondata di innovazione senza precedenti, con oltre il 70% degli studi sulle alternative vegetali ai derivati animali pubblicati dopo il 2015: una spinta che ha portato, ad esempio, al crollo di oltre il 99% dei costi di produzione della carne coltivata.
Un mercato globale da 90 miliardi: Italia prima per numero di ricercatori
I dati di settore presentati nel corso dell’evento delineano uno scenario inequivocabile: il mercato globale delle proteine alternative, che oggi vale 90,5 miliardi di dollari, è destinato a raggiungere i 238,7 miliardi entro il 2034, con un tasso di crescita annuale (Compound Annual Growth Rate, CAGR) del 9,8%. Un boom trainato da un’impressionante accelerazione della ricerca scientifica in Europa, dove i finanziamenti pubblici sono quasi triplicati negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 318 milioni di euro.
L’Italia si distingue come prima nazione in Europa per numero di ricercatori attivi nel settore (633), a testimonianza di un’eccellenza scientifica pronta a guidare l’innovazione. A confermare l’interesse sono i consumatori stessi: nel 2024, le vendite di prodotti vegetali hanno toccato i 639 milioni di euro (+16,4% sul 2022), con alternative vegetali al formaggio che hanno raddoppiato il loro valore in due anni (+100%), e il 59% degli italiani afferma di aver ridotto il consumo di carne.
Consumatori: gusto e familiarità come principali fattori di scelta
A guidare la domanda di proteine alternative sono principalmente Millennials e Gen Z, che in 2 casi su 3 già integrano attivamente alimenti plant-based nella loro dieta, come spiega una ricerca del Future Food Institute[3]. Si tratta di consumatori urbani, che si identificano spesso come flexitariani (27% della popolazione europea, accanto a 62% onnivoro e a 8% tra vegetariani e vegani) che riducono la carne senza eliminarla e sono motivati da salute (47%), benessere animale (29%) e sostenibilità (26%).
Nonostante i numeri positivi, la strada per la piena accettazione delle proteine alternative è ancora lunga. Come rivela uno studio condotto dall’ETH di Zurigo[4] presentato nel corso degli Stati Generali delle Proteine Alternative, il gusto rimane il principale fattore di scelta, seguito dalla percezione di salute e sostenibilità, e la chiave per conquistare la fiducia è la familiarità.
Le persone scelgono ciò che conoscono e, non a caso, le fonti proteiche più accettate come alternative alla carne sono quelle percepite come “naturali” e tradizionali: patate, riso e piselli. Per l’Italia, in particolare, spiccano le lenticchie. Al contrario, insetti, alghe e carne coltivata restano opzioni meno appetibili, considerate “innaturali” o troppo distanti dall’esperienza quotidiana.
Fermentazione: la tecnologia “antica” che aiuta la transizione verso il nuovo
Proprio per abbattere la diffidenza verso il nuovo, convincere il consumatore attraverso la familiarità e combattere le ritrosie legate al gusto, gli Stati Generali delle Proteine Alternative sottolineano la necessità di affidarsi a tecnologie capaci di unire tradizione e avanguardia. Tra queste, un ruolo chiave è quello della fermentazione, processo già radicato nella cultura alimentare italiana e non solo (pane, birra, formaggi) che oggi diventa strumento fondamentale per migliorare le alternative proteiche.
Una frontiera promettente è la fermentazione di precisione, che permette di creare ingredienti specifici (come l’emoglobina vegetale per i burger) per migliorare l’esperienza sensoriale; nel 2024 sono stati destinati oltre 100 milioni di euro ai ricercatori attivi in quest’area e quasi il 50% dei consumatori in Europa e USA si dichiara disposto a provare prodotti derivati da fermentazione di precisione, a patto che ci sia più educazione e trasparenza sul tema.
Linee guida per il futuro: costruire ponti tra innovazione e tradizione
Dagli Stati Generali delle Proteine Alternative emerge quindi una visione chiara: il futuro del cibo è già qui, ma per renderlo accessibile e desiderabile per tutti è necessario superare ostacoli ben definiti.
L’accettazione di nuovi alimenti non è infatti solo una questione di gusto, ma un complesso intreccio di fattori psicologici: barriere come il disgusto, la tecnofobia e la percezione di “innaturalezza” sono ostacoli reali, e comprendere questi processi è necessario per facilitare la transizione alimentare.
A queste si aggiunge il prezzo elevato dei prodotti a base di proteine alternative, come dimostra il fatto che il 44% dei consumatori nel Sud-est asiatico[5] mangerebbe più alternative vegetali se fossero più economiche.
“Superare questi ostacoli richiede di abbracciare un approccio di open innovation sfruttando tutte le potenzialità dell’ecosistema R&D italiano, a partire dall’interazione tra le eccellenze della grande industria alimentare e il mondo della ricerca e delle startup.
Inoltre, è necessario un nuovo approccio culturale: l’obiettivo è costruire ponti, coinvolgendo direttamente agricoltori e allevatori, ma anche chef, come veri ambasciatori culturali tra il laboratorio e la tavola”, sottolinea Maurizio Bettiga, Ideatore degli Stati Generali delle Proteine Alternative e Chief Innovation Officer di Italbiotec.
“L’innovazione tecnologica, guidata dalle competenze scientifiche d’eccellenza del nostro paese, nel campo delle scienze e tecnologie alimentari e delle biotecnologie, così come lo sviluppo di nuovi paradigmi industriali, nei quali le tecnologie e la qualità delle produzioni fermentative biotecnologiche incontrano le esigenze industriali e di costo del settore alimentare, deve dunque andare di pari passo con un dialogo costruttivo e una maggiore trasparenza. Solo integrando tutti gli attori della filiera – dalla scienza all’agricoltura, fino alla cucina – sarà possibile sviluppare quel sistema alimentare più diversificato, resiliente e sostenibile di cui il futuro ha bisogno”.


