Milano si è svegliata sconvolta da una notizia che lascia un silenzio profondo. Luciana Ronchi, 62 anni, è morta dopo essere stata accoltellata dal suo ex marito, Luigi Morcaldi, davanti alla sua abitazione nel quartiere Bruzzano
Un gesto improvviso solo in apparenza, perché come in molte storie di violenza, la tragedia si costruisce nel tempo tra silenzi, appostamenti, minacce e controllo.
Molti definiscono questi episodi come “crimini passionali”, ma non c’è passione nella violenza. C’è possesso, c’è il rifiuto di accettare la libertà dell’altro. E quando l’amore diventa possesso, non è più amore, è dominio, è paura di perdere potere.
La separazione, per chi non sa elaborarla, può trasformarsi in una ferita narcisistica che scava nel profondo.
In alcune persone incapaci di gestire la perdita o il rifiuto, la fine del legame non viene vissuta come un dolore, ma come un affronto. Da quel momento l’altro non è più percepito come una persona, ma come qualcosa che appartiene, che non può e non deve allontanarsi.
Da professionista della salute mentale ed esperta in vittimologia, so che la fase della separazione è una delle più pericolose nella dinamica della violenza domestica.
È il momento in cui la rabbia può trasformarsi in persecuzione, e la frustrazione in aggressione.
Eppure i segnali arrivano sempre, le telefonate ossessive, gli appostamenti sotto casa, le frasi come “sei mia” o “la casa è mia”, i tentativi di controllo anche a distanza.
Sono comportamenti che non vanno mai minimizzati, perché segnano l’inizio di un’escalation.
Le cronache raccontano che da settimane l’uomo si appostava vicino all’abitazione di Luciana, la osservava, la seguiva. E lei, come tante donne, probabilmente viveva quel misto di paura e speranza che paralizza, la speranza che tutto finisca, che il tempo calmi la rabbia, che la normalità torni da sola.
Ma il silenzio, in questi casi, è il terreno più fertile per la violenza.
Ogni volta che una donna muore per mano di chi diceva di amarla, non muore solo una persona, muore un frammento di umanità. Perché la violenza nelle relazioni non è un dramma privato è un problema sociale, educativo, culturale.
Significa che non abbiamo ancora imparato a distinguere l’amore dal controllo, l’affetto dal dominio, la libertà dal possesso.
La libertà di una donna non è una provocazione. È un diritto. E la sua autodeterminazione non toglie nulla a chi la ama, al contrario, ne misura il rispetto e la maturità.
Luciana Ronchi aveva scelto la libertà. A negargliela è stato chi non ha mai imparato che l’amore, se non sa lasciare andare, smette di essere amore e diventa condanna.
Dott.ssa Klarida Rrapaj
Psicologa Clinica, Criminologa e Esperta in Vittimologia




