Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli, che hanno combattuto la mia stessa battaglia, ma non hanno avuto la stessa sorte
Come mio padre e mia sorella, che purtroppo non ce l’hanno fatta. Durante la malattia, la mia più grande preoccupazione era quella di non sembrare malato. Non volevo che gli altri vedessero la mia debolezza.
Per questo oggi cerco sempre di avere un po’ di colore sul viso: è un modo per ricordarmi che la vita continua.
Nel calcio vivi di obiettivi, una partita alla volta. Con la malattia ho fatto lo stesso.
Dopo ogni chemio, passavo notti intere piegato dal dolore. Mi dicevo: ‘Oggi cinque ore, domani quattro, poi tre e mezzo’. E piano piano ce l’ho fatta. L’unica cosa che mi ferisce ancora è quando la gente mi dice:’Con quel fisico, era ovvio che saresti guarito.’
No, non era ovvio.
Perché allora Vincenzo D’Amico, Paolo Rossi, Mihajlovic, Vialli… non ci sono più?
Io non sono stato più forte. Sono stato solo più fortunato. Una notte ho trovato mia moglie e le mie figlie che piangevano. Mi sono alzato e ho detto: ‘Adesso basta. Siete voi che dovete aiutare me.’
Da quel momento, in casa, tutto è cambiato. Ho perso mio padre, per questa malattia, e anche suo fratello. Ho perso mia sorella, la persona che stimavo di più, che dopo otto anni di cure non ce l’ha fatta.
L’altra mia sorella convive con il cancro da quattordici anni. Siamo una famiglia segnata, falcidiata dai tumori.
E a volte mi chiedo: davvero meritavamo tutto questo?”
[Sebino Nela]


