Cannabis light? Per i giudici è legale ma il settore è a rischio

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CANNABIS

Arrestato venerdì, liberato lunedì, dopo tre giorni di carcere. È successo il mese scorso a un giovane agricoltore pugliese, accusato di traffico di stupefacenti perché coltiva canapa industriale: 460 chili di derivati sequestrati, peccato che fossero privi di efficacia drogante. Due settimane dopo è toccato a un altro coltivatore, questa volta a Palermo, arrestato e rimasto recluso per due giorni.

Sono soltanto le ultime storture provocate dal decreto sicurezza, approvato ad aprile scorso dal governo Meloni, che vorrebbe considerare il fiore di canapa come uno stupefacente indipendentemente dai livelli di Thc (il principio attivo drogante), una norma che è una dichiarazione di guerra alla cannabis light, ma che sta mostrando tutta la sua debolezza.
Una filiera da 2 miliardi di euro

Le sentenze dei tribunali continuano infatti a riconoscere la piena legittimità della coltivazione, trasformazione e vendita della cosiddetta canapa light, cioè con un tenore di Thc entro i limiti consentiti. Il punto è questo: se non ha effetti psicotropi, quindi il Thc per prassi giurisprudenziale rimane al di sotto dello 0,5 per cento, non si è in presenza di un reato.

La legge quindi criminalizza una pianta legale, tracciabile, sostenibile, che rappresenta un’opportunità reale di reddito e innovazione per tanti agricoltori: secondo alcune stime la filiera oggi vale in Italia 2 miliardi di euro, con 3 mila aziende sparse in tutta la Penisola e oltre 30 mila posti di lavoro diretti, dalla coltivazione in campo aperto alle lavorazioni nei laboratori alla trasformazione alimentare, cosmetica, industriale.

Tribunali e sentenze

L’ordinanza del tribunale di Trento del 5 settembre stabilisce che produrre e vendere cannabis light è legale, smontando così l’articolo 18 del decreto sicurezza: allo stato dei dati scientifici, si legge nel provvedimento, un contenuto di Thc inferiore allo 0,3 per cento non comporta rischi tali da giustificare un divieto assoluto di commercializzazione.

A Torino il giudice qualche giorno fa ha disposto l’archiviazione con formula piena del procedimento penale che aveva coinvolto 14 tra produttori e commercianti “perché il fatto non sussiste”: ha dichiarato lecita la vendita di cannabis sativa purché con un contenuto di Thc inferiore allo 0,6 per cento.

E ancora: dopo la relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione del giugno scorso, che ha definito l’articolo 18 del decreto sicurezza “in contrasto con i principi costituzionali” di offensività, libertà economica e determinatezza della norma penale, la Corte Costituzionale potrebbe essere investita della questione. La giurisprudenza però non è ancora uniforme: in Emilia Romagna il Tar ha confermato lo stop locale a vendite di derivati.
Produttori nell’incertezza

Nel frattempo, il decreto sicurezza penalizza i piccoli produttori, facendoli chiudere o lasciandoli nell’incertezza . “La norma sta causando enormi danni a un settore che aveva compiuto investimenti – afferma Silvia Guaraldi, segretaria nazionale della Flai Cgil -, e che dava occupazione a lavoratori agricoli che si sono visti venir meno il posto dal giorno alla notte, senza neppure poter accedere ad ammortizzatori sociali e tutele previdenziali. Si tratta di una disciplina che si dimostra in contrasto con le evoluzioni normative europee sia in tema di cannabis light che di politica agricola comune. Oggi rimangono le macerie di un settore che sta vedendo andare in fumo investimenti, produzioni e occupazione”.