E quando l’Istat, non un giornale di opposizione, ma l’istituto dello Stato, dice che milioni di persone rinunciano a curarsi, la vera diagnosi non è sanitaria, ma politica: l’Italia è diventata un pronto soccorso chiuso per ferie
C’erano una volta i “primi della classe”, quelli che, in campagna elettorale, promettevano liste d’attesa più corte, medici più felici, cittadini più curati. Oggi, a distanza di due anni di governo, gli stessi numeri, che non votano e non fanno propaganda, raccontano un’altra storia: quasi sei milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi.
Non per pigrizia, ma perché non ci riescono. Perché un’ecografia arriva dopo Natale, una visita cardiologica dopo Pasqua e un esame oncologico, se va bene, entro l’estate successiva. E perché, nel frattempo, la vita non aspetta.
Era il 2,8%. Oggi è il 9,9%. In pochi anni, il numero di chi rinuncia a una cura è più che triplicato. E la colpa non è delle code, ma di chi le ha trasformate in sistema.
E così, nel Paese che si vanta di “non lasciare indietro nessuno”, quasi un italiano su dieci è costretto a scegliere se curarsi o mangiare.
Più spesso a rinunciare, perché un ticket da 80 euro pesa più di un dolore al ginocchio.
Meloni parla di “Italia che non molla”. Ma è proprio quella che molla: le donne di 60 anni che aspettano un controllo, gli anziani soli che non riescono a farsi visitare, i quarantenni che saltano le analisi “tanto sto bene”.



