Meloni celebra il lavoro povero ma non c’è nulla da festeggiare nell’economia italiana

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In ottobre 2025 l’occupazione in Italia cresce: aumentano gli occupati (24,2 milioni) in quasi tutte le fasce d’età, cala la disoccupazione e gli inattivi restano stabili.
Il tasso di occupazione raggiunge il 62,7%, il livello più alto dall’inizio delle serie Istat (2004). Nel confronto europeo, il tasso di disoccupazione italiano è ormai in linea con la media Ue ed eurozona, ma il Paese resta ancora indietro su occupazione femminile e giovanile e soprattutto sui salari.
La retribuzione media annua (circa 22 mila euro netti) è molto più bassa della media Ocse (31 mila), ed è l’unico caso nel G7 (Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito e Italia) in cui i salari reali sono diminuiti negli ultimi trent’anni.
Inoltre 6,2 milioni di lavoratori guadagnano meno di mille euro al mese, cioè una somma di denaro che non basta per vivere.
La debolezza salariale è il vero punto critico: la moderazione dei salari in Italia si traduce in stagnazione, consumi deboli e maggiori disuguaglianze, con salari significativamente inferiori rispetto a Francia e Germania anche a parità di produttività.
Oggi un grande economista keynesiano Pierluigi Ciocca, su il manifesto, fa un’ analisi interessante dello stato drammatico in cui versa l’economia italiana ed avanza proposte per un programma minimo per rimettere in moto il Paese e venire incontro ai ceti sociali più deboli.
Negli ultimi trent’anni l’economia italiana è rimasta sostanzialmente ferma: dalla crisi del 1992 il Pil reale è aumentato in media di meno dell’1% l’anno, un risultato storicamente povero. La legislatura che si chiuderà nel 2027 rischia di consegnare lo stesso bilancio deludente.
In questo lungo periodo né la politica né il sistema produttivo hanno fatto abbastanza: pochi investimenti, innovazione debole, produttività quasi immobile. Dal 2014 l’occupazione è cresciuta e la disoccupazione è scesa, ma soprattutto perché i salari si sono compressi e il lavoro ha sostituito il capitale: più posti, ma spesso fragili, mal retribuiti, poco qualificati, inadatti alle aspettative dei giovani che infatti emigrano. L’autore indica alcune direttrici di politica economica.
Sul fronte dei conti pubblici: ridurre sprechi in appalti, trasferimenti alle imprese, spese militari e costo del debito, affiancando a ciò maggiori entrate da concessioni meglio regolamentate e da una vera lotta all’evasione.
Poi rilanciare gli investimenti pubblici – infrastrutture, sanità, scuola, ricerca, tutela del territorio – dopo anni di tagli e un Pnrr frammentato e poco incisivo.
“Oltre alla utilità immediata questa spesa nel medio periodo può non gravare sui conti. Si autofinanzia, se il moltiplicatore è sufficientemente alto, con conseguenti aumenti di gettito e minori uscite per altre voci”.
Serve anche una redistribuzione più equa, per ridurre povertà diffuse e rafforzare il capitale umano. “Quasi sei milioni di italiani sono poveri, 13 milioni rischiano di diventarlo. Un riequilibrio si impone per ragioni di equità. Inoltre la progressività distributiva diffonde professionalità, potenzia il capitale umano, favorisce la crescita.”
Occorre anche una concorrenza più effettiva che metta fine ai “profitti facili” garantiti dallo Stato in nome di una finta politica industriale: “non è compito dello Stato garantire il profitto e regalare danari pubblici ai privati, come la Confindustria non smette di chiedere”.
Per il Mezzogiorno si propone una strategia dedicata: più servizi, più infrastrutture e un soggetto pubblico d’investimento che intervenga dove i privati non lo fanno.
“È fondamentale -conclude Ciocca- che questi indirizzi siano rivolti alla tutela delle categorie sociali che hanno sofferto e soffrono per il ristagno dell’economia. In una o più vesti si tratta di decine di milioni di cittadini: i salariati, i pensionati, i poveri, i contribuenti, i risparmiatori, gli anziani, i malati. A una tale, potenziale maggioranza va proposto un programma chiaro, in cui essa si riconosca e la induca a tornare al voto nell’interesse proprio e per il progresso generale del Paese”.
Si parla di molto di un programma per il centrosinistra. Mi pare che l’economista Ciocca nello spazio di un articolo lo abbia ben delineato.
Sarebbe un grande fatto politico se i leader del centro sinistra lo adottassero e lo firmassero tutti insieme in modo esplicito e solenne.

Enrico Rossi