Infanzia magra, la sua, fatta di tanta terra e molte privazioni. Cinque fratelli, né acqua né luce, il confronto impietoso con i ricchissimi proprietari, che farà nascere in lui fortissimo un senso di giustizia sociale che non lo abbandonerà mai.
Nell’autunno 1945, a guerra finita, si iscrive al Partito
Comunista e apre una sede nella sua borgata. La lotta dei braccianti sarà la sua stella polare. Nel 1947 è funzionario della Federterra, poi il lavoro nella CGIL e l’ingresso nel Consiglio federale del Pci con cui occupa i campi e lancia uno slogan destinato a diventare iconico: “La terra a tutti”.
Il 10 marzo 1950, durante una grande manifestazione al feudo Santa Maria del Bosco, La Torre è in testa a un corteo lungo chilometri. Al rientro vengono circondati dalle forze dell’ordine, che gli strappano le bandiere e sparano.
Negli scontri La Torre viene arrestato con la falsa accusa di aver colpito un ufficiale. E per quello resterà in carcere per un anno e mezzo
In cella legge Gramsci, Lenin, Labriola, gli muore la madre e nasce il primo figlio, Filippo.
Quando esce è un uomo cambiato: più maturo, colto, consapevole. Nel 1952 viene eletto al consiglio comunale di Palermo (ci rimarrà fino al 1966) e organizza anche una grande raccolta firme per l’Appello di Stoccolma contro le armi atomiche.
Ma è su un altro fronte che si gioca la battaglia della sua vita: quella con la mafia, che nel frattempo ha infiltrato quasi tutti i gangli delle istituzioni e si sta impadronendo di Palermo.
Pio La Torre è uno dei pochi uomini coraggiosi che si oppongono e denunciano. Eletto deputato tra le file comuniste, a Roma entra in Commissione parlamentare antimafia e contribuisce alla relazione di minoranza che denuncia per la prima volta in modo chiaro i legami tra mafia e politica.
Ma non si ferma qui. Porta la sua firma la proposta di legge che introduce l’articolo 416-bis, il reato di associazione mafiosa, e la confisca dei patrimoni illeciti. Aveva capito che l’unico modo per contrastare la mafia fosse colpire i suoi beni, anticipando di decenni l’antimafia di Falcone e Borsellino.
Troppo per i clan.
Quando torna in Sicilia nel 1981 e viene eletto segretario regionale del PCI, è già un uomo solo. Nel giro di undici mesi erano già stati assassinati il magistrato Cesare Terranova, il Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella e il giudice Gaetano Costa.
E lui, invece di arretrare, lancia un’altra battaglia: questa volta contro l’installazione dei missili Nato a Comiso, annunciata dal governo il 7 agosto 1981. Perché la Sicilia, diceva, non doveva diventare un avamposto di guerra.
E poi i comizi, durissimi, in cui fa nomi e cognomi di mafiosi e i loro legami. Sino al mattino del 30 aprile 1982, quando da un paio di moto spuntano altrettanti uomini armati di pistole e mitragliette e lasciano partire decine di spari. Pio La Torre muore sul colpo, assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo, che proverà a difenderlo pagando con la vita.
Sono stati i corleonesi, come si saprà solo anni dopo.
Pio La Torre è stato ucciso perché sapeva, perché faceva i nomi e perché faceva politica. Sapeva di avere i giorni contati, ma è andato avanti lo stesso, con la schiena dritta, un senso del dovere che è anche difficile capire oggi.
Oggi, 24 dicembre, a due anni dal centenario dalla nascita, sarebbe stato il suo compleanno.
Quando vi dicono che “siete dei poveri comunisti”, come se fosse un insulto, ricordategli che non è un’offesa, e che anche questo piccolo grande uomo era comunista, e che si chiamava Pio La Torre.



