Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Benvenuti tutti! Bienvenidos! Welcome!”. Il saluto di Leone XIV, sul sagrato della Basilica vaticana prima dell’avvio della Messa della Notte di Natale, è rivolto ai circa cinquemila fedeli che, nonostante la pioggia battente su Roma, non hanno esitato ad esserci. Seguiranno la celebrazione all’esterno, dai maxischermi predisposti che ne amplificheranno la solennità. È l’abbraccio del Successore di Pietro alla Chiesa universale. La basilica è molto ampia, dice il Papa, e ne contiene questa sera seimila di persone, ma “sfortunatamente non abbastanza per ricevervi tutti”. Il Pontefice si dice “ammirato” per il “coraggio” e la “disponibilità” ad esserci “anche con questo clima”. Poi aggiunge:
Gesù Cristo che è nato per noi, ci porta la pace, ci porti l’amore di Dio.
E l’augurio per tutti, la benedizione estesa a tutti. A precedere la celebrazione eucaristica la lettura di alcuni brani biblici contraddistinta dal canto della Kalenda, l’antico annuncio liturgico del Natale del Signore – otto giorni prima delle kalendae di gennaio – come riportato nel Martirologio Romano. Un testo che racchiude tutti gli episodi fondamentali della storia universale fino alla venuta di Cristo, culmine del tempo di Avvento. Il lettore, infatti, ne proclama il senso: ricordarsi che Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria, è il centro della storia e del cosmo.
In processione verso l’altare della Confessione sfilano vescovi e cardinali insieme con il Papa il quale, per la circostanza, veste la casula giallo oro che ha usato più volte a Natale san Giovanni Paolo II e indossata anche da Benedetto XVI. Leone svela l’immagine di Gesù Bambino e un gruppo di bambini di diverse nazionalità, da Corea del Sud, India, Mozambico, Paraguay, Polonia, Ucraina, la adorna ciascuno con un omaggio di magnifiche orchidee bianche. Si fondono con le il rosso delle ‘stelle di Natale’.
Per trovare il Salvatore, non guardare in alto, contemplare in basso
Quattro i cardinali che concelebrano con il Papa: il Decano del Sacro Collegio, Giovanni Battista Re, insieme con Pietro Parolin, Marc Ouellet, Leonardo Sandri. È un tono molto poetico e sfidante al contempo quello dell’omelia di Leone, che richiama la millenaria ricerca della verità sulla terra, “tra le case”, da parte dei popoli i quali hanno puntato lo sguardo sempre verso il cielo, pensando di trovarla tra le stelle. Sono finiti per brancolare nel buio dei loro stessi oracoli, dice il Papa evidenziando la profezia di Isaia laddove parla della “grande luce” che rifulse. È il Natale di Gesù, l’Emmanuele. “Nel Figlio fatto uomo, Dio non ci dona qualcosa, ma Sé stesso”, precisa il Successore di Pietro. È il ribaltamento di ogni logica umana. La dimensione verticale lascia per così dire il posto a quella orizzontale: non è “più da cercare lontano, negli spazi siderali, ma chinando il capo, nella stalla accanto”.
Per trovare il Salvatore, non bisogna guardare in alto, ma contemplare in basso: l’onnipotenza di Dio rifulge nell’impotenza di un neonato; l’eloquenza del Verbo eterno risuona nel primo vagito di un infante; la santità dello Spirito brilla in quel corpicino appena lavato e avvolto in fasce. È divino il bisogno di cura e di calore, che il Figlio del Padre condivide nella storia con tutti i suoi fratelli. La luce divina che si irradia da questo Bambino ci aiuta a vedere l’uomo in ogni vita nascente.
Là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio
“Per illuminare la nostra cecità, il Signore ha voluto rivelarsi da uomo all’uomo”. Leone XIV cita l’omelia di Benedetto XVI nella notte di Natale del 2012 e sottolinea:
Così attuali, le parole di Papa Benedetto XVI ci ricordano che sulla terra non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo: non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro. Invece là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio: allora una stalla può diventare più sacra di un tempio e il grembo della Vergine Maria è l’arca della nuova alleanza.
Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma storia d’amore
E il Papa prosegue nell’evidenziare il sovvertimento che porta con sé il Natale, lo sparigliare delle carte, dei progetti per come li potrebbe concepire la mente dell’essere umano. Un bambino di fronte alle attese dei popoli, un inerme di fronte al dolore dei miseri. E “davanti alla violenza e alla sopraffazione – le parole del Pontefice – Egli accende una luce gentile che illumina di salvezza tutti i figli di questo mondo”. E qui la citazione di Sant’Agostino: «la superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina».
Ammiriamo, carissimi, la sapienza del Natale. Nel bambino Gesù, Dio dà al mondo una vita nuova: la sua, per tutti. Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma una storia d’amore che ci coinvolge.
Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?
A fare da corona alla nascita di Gesù un ‘esercito celeste’: sono gli angeli che il Papa, ripetendo un binomio di aggettivi ricorrente nei suoi discorsi, definisce “schiere disarmate e disarmanti”. Poi l’affondo su alcune radici delle crisi contemporanee che riconducono, in effetti, all’atavica avidità e superbia dell’uomo:
Sì, mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, Dio si fa simile a noi, rivelando l’infinita dignità di ogni persona. Mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitù. Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?
Il Natale è per noi tempo di gratitudine e di missione
L’omelia di Leone si conclude con il ricordo di come, nella notte di Natale di un anno fa, Francesco abbia posto in relazione profonda la nascita di Gesù con la speranza, avviando un Anno Santo dedicato. “Ora che il Giubileo si avvia al suo compimento – invita il Papa stanotte -, il Natale è per noi tempo di gratitudine e di missione. Gratitudine per il dono ricevuto, missione per testimoniarlo al mondo”.
Sorelle e fratelli, la contemplazione del Verbo fatto carne suscita in tutta la Chiesa una parola nuova e vera: proclamiamo allora la gioia del Natale, che è festa della fede, della carità e della speranza. È festa della fede, perché Dio diventa uomo, nascendo dalla Vergine. È festa della carità, perché il dono del Figlio redentore si avvera nella dedizione fraterna. È festa della speranza, perché il bambino Gesù la accende in noi, facendoci messaggeri di pace.
Il Bambinello nel presepe, la preghiera della Chiesa
Quei bambini, che rappresentano il mondo, sono gli stessi che accompagnano il Vescovo di Roma, al termine della Messa, presso il presepe allestito in basilica. Il Papa porta il Bambinello che sarà il diacono a deporre nella culla. Una immagine di grande dolcezza, come dolce è stata l’intera liturgia con un Papa in alcuni momenti intimamente commosso e che non ha lesinato carezze, infine, per quei piccoli dagli abiti tradizionali dei propri Paesi di origine. Gesù è nato: quel “principe della pace” a cui è stata rivolta la supplica, nella preghiera universale, di “spezzare le catene dell’odio e della violenza”, di trasformare “i cuori dei governanti delle nazioni, perché a tutte le genti sia donata la vera speranza di bene”. E perché la Chiesa si lasci interpellare dalla storia e “sia lievito di concordia per il mondo”.



