Il pallone bianco, che torna al suo posto dopo cinque settimane. E merita sentite scuse

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C’è una giustizia, allora. Il pallone arancione era un insulto all’epica del calcio, alla sua letteratura, ai nostri ricordi
L’avevamo visto pochissime volte, fugace apparizione, quando sulle nostre domeniche nevicava ancora e il candido manto sul terreno di gioco rischiava di fagocitare il pallone bianco. Era insolito, persino bello seguire le evoluzioni di quella sfera rossa sul mantello invernale.
Il pallone, poi, tornava bianco come dev’essere, come buon senso impone. Bianco a scacchi neri, bellissimo, negli anni 70; bianco con motivi geometrici, oggi. Tutto bianco, meraviglioso, in Inghilterra.
Il Tango, a Spagna 82, ha trafitto i nostri cuori, ne furono venduti milioni e ognuno di noi si sentiva Tardelli libero di urlare all’infinito.
Qualche solone del marketing, qualche settimana fa, ha deciso che il pallone doveva essere arancione acceso sul verde brillante, una Caporetto estetica, una Waterloo per la vista. Un disastro comunicativo e strategico.
Così gli ineffabili vertici della Lega sono tornati indietro con la scusa, risibile, che i daltonici non riuscivano a vedere la palla. La realtà è che ci sono cose, nel calcio, che non possono mutare. Gli undici in campo, l’area di rigore, le bandierine del calcio d’angolo.