LA STABILITÀ DELLA DESTRA DIFFERISCE LE PENSIONI E LE LOTTE INTERNE

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L’approvazione della legge di bilancio del governo Meloni, la penultima della legislatura in corso, apre di fatto la corsa alla campagna elettorale che sarà indetta nella primavera del 2027. La Destra che siede a palazzo Chigi ha optato per una manovra economica spartana, dettata dalla commissione di Bruxelles, con l’obiettivo di rispettare il nuovo patto di stabilità, sottoscritto dal leghista Giorgetti, e di poter disporre di sostanziali margini di intervento finanziario alla vigilia delle prossime Politiche

Dopo una sosta di oltre due mesi in Senato, la legge di stabilità (ex finanziaria) e di bilancio, la penultima del Governo Meloni, è stata approvata in lettura definitiva e senza emendamenti dalla Camera, con un budget che pareggia sui 21 miliardi e mezzo di euro: un saldo molto distante da quelli a cui eravamo storicamente abituati, e che trae le proprie origini dall’applicazione dei sopraggiunti vincoli di finanza pubblica ai quali il nostro Governo, attraverso la Lega di Salvini e Giorgetti, ha aderito fin da subito sottoscrivendo le nuove clausole disciplinari imposte dalla Commissione con der Leyen e che stabiliscono un orizzonte di allineamento contabile da 4 a 7 anni dei singoli Stati comunitari.

In pratica, i rinnovati parametri prescrivono che il rispetto delle condizioni del trattato di Maastricht, sul livello di deficit e debito in relazione al prodotto interno lordo, sia basato sull’andamento della spesa pubblica primaria al netto degli interessi sul debito pubblico e delle manovre straordinarie volte a contrastare cicli congiunturali eccessivamente avversi. Sulla scorta di questo sopraggiunto criterio, che dispone di una proiezione pluriennale, il risanamento verrà perseguito mettendo un argine alla propensione alle politiche di spesa, rendendo più difficile l’utilizzo degli avanzi primari e del maggiore gettito fiscale dovuto alle contingenze dell’economia reale. Di conseguenza, e precluso il ricorso alla leva dell’indebitamento, ogni politica pubblica discrezionale non potrà che reggersi sul taglio della spesa corrente o sull’aumento della pressione fiscale, ovvero della tassazione, centrale e locale.

Il perché, quindi, di una manovra così esigua, non può che essere spiegato confidando nella memoria corta del corpo elettorale e nella speranza che, nel prossimo autunno, la commissione della UE possa autorizzare una legge di stabilità di tipo espansivo tramite il “tesoretto” in surplus sul saldo richiesto per stare dentro il nuovo patto pluriennale e grazie alla fuoriuscita anticipata del nostro Paese dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo.

A questo punto, tuttavia, si tratta di comprendere se, fra dodici mesi, una Finanziaria “Monster” preelettorale sarà nuovamente possibile, perché autorevoli opinionisti e analisti escludono fin d’ora una simile eventualità, il che significherebbe dover mettere in atto ulteriori restrizioni a valere sulla legge Fornero e sui trasferimenti agli enti regionali e locali. In quest’ultimo caso, molto banalmente, si verrebbe a creare una situazione per cui ogni euro di riduzione della pressione fiscale diretta si tradurrebbe in due euro di aumento di quella indiretta e in un altro euro di rincaro delle addizionali municipali e regionali. E questo sta già avvenendo proprio negli enti territoriali governati dalle destre: basti pensare alla Regione Piemonte, a guida Forza Italia e a maggioranza fratelli d’Italia, recentemente declassata dall’unione europea e che ha introdotto un aumento biennale dell’IRPEF di oltre mezzo punto lineare sui redditi annui lordi da 15.000 euro in su; la stessa linea di tendenza seguita dal Comune cuneese di Fossano, a trazione leghista salviniana, che ha rincarato l’imposta sul reddito delle persone fisiche sugli stessi presupposti. Cosicché un contribuente residente in Piemonte a Fossano, vede il proprio magrissimo risparmio fiscale statale azzerato dall’austerità comunale e regionale. E, nel caso in cui disgraziatamente avesse un parente residente in una casa di riposo non convenzionata, sempre con decorrenza dal prossimo imminente primo gennaio subirà un rincaro di dieci punti percentuali sulla retta di ricovero, e se malauguratamente si troverà a doversi spostare in auto dovrà fare fronte a un pedaggio più alto di un punto percentuale e mezzo.

L’opposizione di centrosinistra ha calcolato che, in forma indiretta, sul ceto medio italiano gravano maggiori imposte e tasse e ticket per un totale di dieci miliardi di euro. Di fatto, i risparmi conseguiti sull’allungamento delle finestre previdenziali servono unicamente a pagare le pensioni in essere e a indicizzarle in base al tasso di inflazione programmata, in ossequio al nocciolo duro dell’elettorato leghista.

Nessun intervento viene previsto per attenuare i rincari energetici, che si sarebbero potuti neutralizzare cancellando una serie di sussidi in bolletta e prevedendo il più volte annunciato disaccoppiamento fra gas e fonti rinnovabili, per fare fuoriuscire il nostro Paese dal paradosso per cui vantiamo il record di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e la leadership della produzione fotovoltaica (oltre che eolica) senza che però questo si traduca in un allevamento dei costi gravanti su famiglie, imprese, Enti locali.

Non ci è dato di sapere se le tensioni interne al governo Meloni si salveranno dalla implosione anche nel corso del 2026; di certo, se mai dovesse emergere che sono stati sbagliati i calcoli e che non sarà possibile nessuna manovra espansiva per il 2027, ciascun partito della coalizione cercherà di accollare le responsabilità agli alleati e di enfatizzare la propria salvifica identità.

AZ