Cuperlo, a sinistra non si può ricostruire senza radicalità

0
61

Radicalità è una parola bella, molto bella. Che non è sinonimo di estremismo, chiacchiera ideologica, inconcludenza parolaia. In verità non c’è niente di più radicale del riformismo, della capacità cioè di perseguire con determinazione un obiettivo di trasformazione possibile, con concretezza di azione e, appunto, radicalità nei principi. Radicalità per ricostruire è il titolo di un documento molto articolato che Gianni Cuperlo illustrerà domani nel corso di una riflessione al Nazareno, aperta e (per fortuna) non cristallizzata nel gioco di corrente.

Nelle redazioni accade spesso di imbattersi in “documenti” di partito, che normalmente vengono accolti con scarso entusiasmo e raramente tradiscono la noia dell’aspettativa. Questa è una eccezione, e per questo merita di essere pubblicato e letto. Diciamola così: è, finalmente, un segnale di vita (intellettuale, innanzitutto) nel dibattito a sinistra. A proposito: sì, il “dibattito sì”, aridatecelo, dopo mesi in cui la velocità degli eventi ha imposto anche un’apnea di pensiero ed elaborazione, e sarebbe ora di recuperare una dimensione di “profondità”. E questo documento è, per usare un’altra espressione abusata, una “cosa di sinistra”, anzi la cosa più di sinistra prodotta dal Pd negli ultimi tempi. A leggerlo bene rappresenta la chiave – politica, valoriale, simbolica – di una agenda (e di una iniziativa) possibile.

Senza farla troppo lunga, innanzitutto c’è il recupero di un sano principio di realtà. Già, del senso reale di quel che sta accadendo: l’emergenza sanitaria, quella economica più in generale un mutamento profondo della mentalità, della società, della natura stessa delle democrazie. Si misura con gli indici di contagio? Sì, ma non solo. Con i dati di Pil? Sì, ma non solo. C’è un cambiamento non misurabile con le statistiche, che è quello del rapporto tra cittadini e Stato: la concezione della libertà, i nostri diritti, i rapporti sociali, affettivi, il lavoro. Insomma, la politica. Ne usciremo diversi, e siamo già diversi, anche se, forse non ne abbiamo ancora piena consapevolezza.

Ascoltando il dibattito alla Camera dopo la svolta europea sul recovery fund, si è avuta appunto questa sensazione: un’aria da problema risolto, come se i soldi fossero già ottenuti, allocati e spesi. E come se la partita europea fosse già finita. Più della modestia del cimento, in un’impresa senza precedenti che ha bisogno di una grande tensione morale e ideale nel paese, si vive un’euforia da scampato pericolo. Uno spirito ordinario per tempi straordinari, tra una chiacchiera sulla task force e un rinvio del Mes.

Ecco il punto. Cuperlo nel suo documento recupera la necessità di questa modestia. E, con essa, di una “visione” e della altrettanto urgente fuoriuscita dalla logica dell’emergenza. Questo però chiama in causa la qualità stessa delle classi dirigenti nazionali cresciute in epoca di populismo, formatesi sull’istinto, sulla risposta immediata, incapaci di vedere oltre l’orizzonte del presente. Giustamente, si legge, “il passaggio di adesso è l’occasione unica per rifondare quel discorso pubblico, recuperando una lettura critica dei processi in atto che un tempo lungo ha cercato di archiviare, purtroppo a volte con successo”. Si può aggiungere, con un po’ di enfasi: ora o mai più, anzi speriamo che non sia troppo tardi?

Perché il problema è tutto qui: questa è la prima emergenza dell’Italia populista, precipitata non su una democrazia forte, ma su un sistema sull’orlo di una “crisi strutturale”: un governo immobile, il Parlamento non più specchio di un paese reale, una crisi economica già difficile, una destra maggioritaria. E anche qui: un’assenza di visione per contrastarla, sin dalla genesi dell’attuale governo. Il punto è questo. E diciamocelo, è ben altro dal “quanto dura” e dal “chi andrà al Quirinale”. È ben altro. Il Covid è stato la spazzola della storia che ha tolto la coltre di polvere, facendo emergere in modo impietoso contraddizioni, ritardi, limiti di lungo periodo, dal disastro sui tagli alla Sanità al sito dell’Inps che si blocca. Solo lo stato di eccezione ha tenuto assieme il tutto. L’emergenza e, con essa, la costruzione di un potere nuovo fondato sull’anomalia e sulla necessità. Col rischio, come ha scritto Ezio Mauro, di infettare anche la democrazia giocando con le paure.

Adesso però, diciamocelo, siamo al dunque. Il problema non è neanche Salvini, il problema, squadernato, è il declino dell’Italia, la rabbia, il rischio di un autunno di tensioni sociali, di una crisi di sistema anche se non di governo. Ed è vero, come è scritto: la metafora nella guerra non c’entra nulla, perché non abbiamo alle spalle un regime oppressivo ma l’opposto, una perdita di sicurezza e anche di libertà. Adesso la sfida è coniugare ricostruzione rinnovando i pilastri della democrazia. Serve un’agenda? Sì, se questo documento venisse accolto avremmo un programma più avanzato perché qui dentro c’è un’idea di società.