tratto da “L’ultima fila in alto”
Sabato 28 novembre, a Torino, presso Venaria, se le restrizioni causate dalla pandemia non s’aggraveranno, avrà luogo la prima presentazione del libro “L’ultima fila in alto”, di Gianluca Bordiga. È il suo primo impegno letterario; in questo modo si presenta in veste di scrittore. È un’autobiografia ma in particolare è una narrazione molto suggestiva; racconta con una bella sintesi, scorrevole, l’arco temporale di novantacinque anni dal 1925 ai giorni nostri; facendo rivivere le vicende drammatiche e quelle gioiose che hanno scandito la vita della famiglia d’origine dell’autore, e poi la sua stessa famiglia, fino ad arrivare al perseverante impegno pubblico in difesa del territorio dove ha avuto i natali; un impegno mai abbandonato, anzi, portato avanti con fedeli collaboratori nonostante vari attacchi personali mirati a calunniare la persona. L’opera, capitolo dopo capitolo, arriva a raccontare anche la bellezza del processo culturale avviato dall’Associazione Amici della Terra Lago D’Idro e Valle Sabbia, presieduta da Gianluca stesso, che nel 2017 insieme a Legambiente Lombardia hanno dato un input alle tante Associazioni e Comitati di ambientalisti dell’intera asta del Fiume Chiese, dal quale in epoca glaciale si formò il Lago D’Idro, per concretizzare una coscienza unitaria finalizzata a rigenerare e proteggere il deflusso ecologico in ogni tratto del grande bacino idrografico del Chiese, che porta a valle annualmente circa un miliardo e trecento milioni di metri cubi d’acqua, acqua di neve, acqua pura; il processo culturale ha generato un sodalizio senza precedenti, oggi attivo tra 19 formazioni sociali, sotto la forma di Federazione. L’impegno pubblico di Gianluca, l’autore de “L’ultima fila in alto”, è iniziato nell’agosto dell’85, e non s’è mai fermato. L’autore è nato in terra di Bagolino, da lignaggio di sangue bagòsso, cresciuto nella frazione a lago, Ponte Caffaro. In un passaggio del libro, l’autore racconta anche quando suo papà, di nome Fortunato ma da tutti detto Nato, col suo mestiere di Sarto aiuta i bälärì a preparare gli abiti per celebrare il “sacro Carnevale”. Il bälärì è la figura emblematica del Comune di Bagolino; è la testimonianza vivente dell’antica storia singolare di questa terra di montagna, isolata dagli altri centri urbani, ed è anche per questo aspetto che questa comunità ha una sua notevole vivacità, che mantiene tradizioni secolari dotate di particolare suggestione. Un tempo il vestito della festa era uno soltanto, e il bälärì usava per forza quello per fare il suo abito della celebrazione dei riti del Carnevale; i pantaloni venivano scuciti all’interno fino alle ginocchia, quindi la parte scucita veniva tirata su sotto e fissata in alto, a quel punto mettevano gli ornamenti sull’esterno dei pantaloni che erano diventati alla zuava. La giacca non aveva bisogno di essere scucita, ma si dovevano fissare sopra i gradi, le spalline e i cordoni. Poi, finito il Carnevale, il vestito veniva svestito dagli ornamenti e da tutto, e tornava ad essere l’abito per tutte le feste. Gianluca, l’autore del libro, venne avviato ad essere un bälärì nell’81, dall’allora Presidente della Compagnia della frazione Ponte Caffaro, Gaetano Salvini, che lo inserì nella Compagnia improvvisamente nel bel mezzo dell’ultimo giorno delle “sante feste”, prestandogli un suo abito; all’insaputa dei genitori, perché in quel tempo la famiglia di Gianluca era avvolta dall’angoscia della morte dell’altro giovane figlio, Danilo, vittima l’anno prima, di un’automobilista che a velocità folle lo investì in centro al paese, sul marciapiede davanti alla porta di casa.
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