A CUNEO SCOPPIA LA DISFIDA DELL’OSPEDALE UNICO CHE SI DOVRÀ COSTRUIRE CON FONDI PRIVATI

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Sullo sfondo di una campagna elettorale nazionale dominata da promesse di consistenti tagli fiscali da parte della coalizione di destra centro indicata come vincitrice (almeno alla Camera dei deputati) alle Politiche del 25 settembre, nella città di Cuneo scoppia la disfida del nuovo ospedale unico, destinato a sostituire l’attuale Santa Croce e a essere ricollocato al Carle, in una zona frazionale fuori dal centro urbano

Tutto nasce dalla dichiarazione con cui l’assessore regionale leghista Luigi Icardi, delegato alla sanità, ha comunicato alla neo sindaca del PD, Patrizia Manassero, che i fondi INAIL, originariamente teorizzati per l’investimento immobiliare nel futuro complesso ospedaliero, non sono più disponibili, o meglio sono soggetti a procedure cavillose (o forse in concreto non sono mai esistiti).

Quale è la soluzione alternativa? Il partenariato pubblico privato, in sigla PPP, lo strumento giuridico attraverso cui un’opera di pubblica utilità viene costruita da un soggetto di tipo imprenditoriale con un investimento proprio, su affidamento pur sempre di un committente istituzionale pubblico, a fronte del diritto a vedersi riconosciuta la corresponsione di un canone annuo e la gestione dei cosiddetti servizi complementari all’opera principale.

In tal senso è stata depositata una candidatura, presso l’azienda ospedaliera Santa Croce e Carle, da parte dell’importante gruppo infrastrutturale INC di Torino facente capo alla famiglia Dogliani (e impegnato peraltro con successo nell’area balcanica in progetti come la riattivazione, rigenerazione e potenziamento della linea ferroviaria Durazzo -Aeroporto-Tirana in Albania).

Inevitabile il dibattito, inevitabilmente vivace e dialettico, seguito in Consiglio comunale, che la neo sindaca Manassero si è impegnata a tenere costantemente informato. “Bontà sua – ha dichiarato Giancarlo Boselli, uno dei leader della minoranza e capogruppo degli indipendenti – La sindaca ha peccato di credulità, perché i fondi INAIL non sono mai esistiti ed era evidente fin dall’inizio che sarebbe stata necessaria una soluzione progettuale e finanziaria alternativa.

Il nostro gruppo ha condotto una campagna elettorale basata principalmente sulla tutela del servizio sanitario e ospedaliero del capoluogo, che deve continuare a essere un centro pulsante della vita cittadina altresì in termini di circostante indotto economico e commerciale, per evitare lo svuotamento di strutture e il degrado di intere zone.

Fra l’altro, la sindaca Manassero dovrà presto affrontare la grana, tutta interna alla maggioranza uscita dalle elezioni comunali di giugno, del rapporto con i consiglieri che rappresentano l’area di Azione, dopo che a livello nazionale Calenda è uscito dall’accordo con Enrico Letta”. Aggiunge Boselli: “La sola realtà che sta agendo in modo proattivo sul tema dell’ospedale è la fondazione dedicata di cui è presidente l’imprenditrice Silvia Merlo e che potrà essere di sostegno alla nostra sindaca le cui idee in tema di sanità sono alquanto confuse”.

In una precedente nota, il gruppo di fratelli d’Italia – espressione del partito indicato dai sondaggi come il più quotato a formare con la sua leader Giorgia Meloni il futuro Governo del dopo Draghi – ha espresso il proprio appoggio alla soluzione di ubicare l’ospedale unico nell’area dell’attuale Carle, che imporrà un robusto adeguamento viario e dei trasporti pubblici di navetta, ponendosi però il problema di evitare che il centrale Santa Croce non si trasformi in un gigantesco contenitore vuoto o peggio in un ricettacolo degradato a pochi passi dal centro storico cuneese.

L’ipotesi più accreditata sarebbe quella, ai sensi della legge in vigore e delle direttive per l’utilizzo dei fondi del Pnrr per il comparto sanità, di trasformarlo in ospedale di comunità al fine di garantire il diritto al ricovero e alla cura per i casi meno gravi.

Il tempo però è in questi casi il peggiore alleato.

Il dibattito nel capoluogo della provincia Granda si innesta su uno scenario italiano dove, alla vigilia dello scoppio dell’emergenza da coronavirus, nei precedenti dieci anni in Italia era stata decretata la chiusura di circa 200 ospedali, 1000 ambulatori e 45.000 posti letto. Una circostanza non del giorno prima, ma frutto delle politiche dei vari governi di destra, sinistra, tecnici e di vario colore susseguitisi e avvicendatisi, e della quale il Paese ha pagato un conto terribile nel corso del 2020.

Se i fondi del Pnrr legati alla missione sanità non saranno programmati e investiti in maniera coerente, la prospettiva è di mettere a rischio ulteriori 137.000 posti letto, localizzati in ospedali condannati alla demolizione o privi dei requisiti di sicurezza interna e antisismica. Il recovery plan, da qui al 2026, vincola il governo attuale e quello futuro a mettere a disposizione 7 miliardi per l’adeguamento e la rigenerazione dei complessi ospedalieri a rischio di chiusura, e a realizzare e mettere in funzione 1288 case della salute e 381 ospedali di comunità.

Una straordinaria opportunità per evitare la dismissione di gran parte del patrimonio immobiliare sanitario, e per riattivare in maniera efficiente strutture a torto ridimensionate o cessate del tutto.

La partita del futuro Governo è individuare dei cofinanziamenti per adeguare il costo dei materiali, a seguito dei rincari internazionali, e per adattare la visibilità e i collegamenti serventi i futuri servizi sanitari creati o rigenerati.

Una storica occasione per scongiurare che la sanità pubblica, ricca di eccellenze a livello locale e particolare, si trasformi in un ennesimo grande malato del sistema italiano atteso da uno degli autunni più difficili degli ultimi 50 anni.

Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI