A Gaza si festeggia e si danza di essere vivi, dopo l’annuncio dell’accordo sui primi punti

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cessate il fuoco, consegna di circa 50 ostaggi israeliani (vivi o morti) in cambio della liberazione di circa 2000 prigionieri palestinesi, ritiro parziale dell’esercito israeliano da circa il 50% della Striscia e corridoi umanitari per cibo e farmaci.
Sul cumulo di macerie e sangue di 68 mila civili uccisi, tra cui molti bambini, restano domande pesanti: quando si ritirerà del tutto l’esercito israeliano? Israele e Trump accetteranno un percorso politico verso lo Stato palestinese? Hamas accetterà il disarmo totale e l’uscita dalla scena politica, dopo essersi rafforzata nella tragedia? E la Cisgiordania – senza la quale uno Stato palestinese è impensabile – quale destino avrà?
Gli USA puntano alla firma rapida per la foto-opportunity, utile per rafforzare la candidatura al Nobel per la pace di Trump.
l’Europa resta irrilevante: né soccorsi adeguati in due anni, né un ruolo credibile per il cessate il fuoco. All’orizzonte si profila una ricostruzione immobiliare calata dall’alto sulla testa dei palestinesi, con espropri dei terreni e lavoro sottopagato, una grande speculazione dove pare avrà un ruolo determinante anche Tony Blair e, a ruota, l’Unione Europea e l’Italia. Un business all’insegna del colonialismo e dell’apartheid che fa molta gola alle imprese.
Intanto, in Italia, il governo ha presentato il Documento programmatico di finanza pubblica: una manovra da 16 miliardi nel 2026, con impatto nullo sul PIL, dopo la crescita ferma allo 0,5% nel 2025, e un debito al 137,4%.
La spinta residua viene dal Pnrr, che si esaurisce entro il 2026, senza un piano di investimenti successivo.
L’unico capitolo in espansione è la difesa: più 12 miliardi l’anno, pari a uno 0,5% di PIL entro il 2028, in linea con la NATO. Le risorse vanno su aerei, mezzi terrestri, navi e munizioni e infrastrutture connesse.
Ne derivano stagnazione economica e tagli alla spesa sociale.
La proposta Cgil di un contributo di solidarietà dell’1,3% sopra i due milioni (platea di 500 mila contribuenti, gettito stimato di 26 miliardi) è stata respinta senza discussione. In cambio, il governo offre micro-benefici: 3 euro al mese sotto i 28 mila e meno di 40 euro al mese a 50 mila euro di reddito. Nessuna riforma strutturale, ma una scelta classista che tutela i più ricchi e lascia indietro il lavoro, in un Paese che ha i salari peggiori d’Europa.
Questa è la direzione di marcia della destra meloniana, allineata al trumpismo: più spese per le armi, meno diritti sociali.
Ma non è ancora scritto che questa politica passi senza suscitare proteste e una forte opposizione sociale e politica che può diventare maggioranza.
Molto dipenderà dalla mobilitazione di lavoratori, studenti e cittadini, che si è risvegliata potente contro il genocidio in Palestina, e dalla capacità delle opposizioni di ascoltare le domande di pace e di giustizia sociale che essa esprime.
Confermo: fare da stampella a Ursula von der Leyen, che non parla altro che di guerra, è un errore, ancora una volta fatto dal PD in Europa.
Domenica ci sarà la Marcia per la pace Perugia–Assisi: in Toscana non si trova più un pullman libero.
In Toscana si vota anche per la Regione: domenica 7–23 e lunedì 7–15. Andare a votare è un diritto; votare contro questa destra è un dovere per chi si sente e si dichiara di sinistra.