A scuola di chiarezza

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Farsi capire o non farsi capire, parlare chiaro o parlare confuso, magari è questa la vera differenza tra la sinistra che vince e quella che perde

Il vecchio steccato tra “moderati” e “radicali”, riformisti e massimalisti, che per generazioni ha fatto e disfatto gli schieramenti, è stato smontato da Mamdani restituendo alla sinistra la chiarezza delle intenzioni: aiutare chi ha di meno, impedire a chi ha di più di spadroneggiare, di dilagare.

Se è un programma “radicale”, lo è nel senso che restituisce le sue radici alla sinistra, riscopre le ragioni per le quali è nata. Mutati i tempi, cambiata la forma dei conflitti, quella, non altre, è la ragione del contendere. Poi si vedrà quali e quante delle buone intenzioni reggeranno alla prova del governo. Ma intanto, perlomeno, si dice quello che si vuole e quello che si è.

Ormai da molti anni, a destra, la distinzione tra moderati ed estremisti è quasi illeggibile. Una brutale definizione delle intenzioni (nazionalismo; religione come arma identitaria; lotta all’immigrazione; investitura popolare del leader senza i contrappesi abituali in democrazia) ha ricompattato i ranghi e colonizzato la destra “per bene”, vedi la triste fine dei repubblicani americani.

Mamdani suggerisce che, se pure con altro spirito, e un poco di qualità culturale e magari di humour in più (è pur sempre un radical chic) la sinistra è chiamata a uguale chiarezza. Lo chiedono i tempi: se il gioco si fa duro, eccetera.

Michele Serra