Accadono cose che non convincono sotto l’aspetto istituzionale e del funzionamento della democrazia politica

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Su tutti i giornali, come fosse un fatto normale, si legge che Meloni “convoca” gli esponenti dell’opposizione per discutere di salario minimo

Se da un lato in questa iniziativa si può leggere un successo della sinistra unita, che sul tema del lavoro povero insiste da mesi, dall’altro è del tutto inusuale che il primo ministro si arroghi il diritto di “convocare” a Palazzo Chigi i capi dei partiti che non la sostengono e che non fanno parte della sua maggioranza.
Posso sbagliarmi, ma non ho memoria di un’iniziativa simile nella storia della Repubblica.
In effetti, il luogo naturale di confronto tra maggioranza e opposizione non sono le stanze del Palazzo dove risiede il capo del governo ma sono le sedi del Parlamento.
Anche se discutere di salario minimo è un fatto indubbiamente positivo, non è certo privo di significato che lo si faccia su convocazione della prima ministra né che i capi partito dell’opposizione si facciano riprendere dai media mentre varcano la soglia di Palazzo Chigi compiendo un passo che ha un valore di ossequio verso l’inquilino di turno.
In una democrazia parlamentare a “convocare” il governo è il Parlamento, non viceversa, e sarebbe stato bene che non si fosse infranta questa regola.
Meloni aveva già fatto da padrona imponendo che la discussione sul salario minimo venisse rinviata a settembre. Non era il caso di concederle un ulteriore gesto di arroganza che oltretutto contrasta con il buon funzionamento della democrazia politica e nei fatti rischia di alterare l’equilibrio dei poteri come delineato nella Costituzione.
Ciò detto, non resta che sperare che venerdì accada qualcosa di buono per 3 milioni e mezzo di lavoratori che vivono con salari da fama.
Però, quando, ancorché motivati da buone intenzioni, si cede sul metodo, è difficile che si ottengano poi risultati soddisfacenti nel merito.
Per i sindacati è giusto e normale che si facciano i tavoli di lavoro e di confronto nella residenza del primo ministro, ma per le forze politiche è il governo che deve rispondere nelle sedi istituzionali della Camera e del Senato dove oltretutto, per regolamento, è ospite.
Almeno finché saremo una Repubblica parlamentare e non presidenziale.