Accordo storico all’Onu per il primo trattato internazionale sulla protezione degli Oceani

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Accordo storico all’Onu per il primo trattato internazionale a protezione dell’alto mare, quello che a oltre 200 miglia nautiche dalle coste esula dalle giurisdizioni nazionali e rappresenta i due terzi degli oceani, costituendo un ecosistema vitale per l’umanità

“La nave ha raggiunto la riva”, ha annunciato la presidente della conferenza Rena Lee, tra i lunghi applausi dei delegati. Il disco verde è arrivato dopo oltre 15 anni di discussioni, di cui quattro di negoziazioni formali, e una maratona finale di 48 ore al Palazzo di Vetro. Il testo, concordato dai Paesi membri, sarà adottato dopo l’esame degli uffici legali e la traduzione nelle sei lingue delle Nazioni Unite. Poi dovrà essere ratificato da un numero sufficiente di Paesi.

Il contenuto non è stato reso noto ma tutti hanno accolto l’intesa come una svolta storica e decisiva per l’attuazione dell’impegno “30×30” preso alla conferenza Onu di dicembre sulla biodiversità, per proteggere un terzo dei mari (e delle terre) entro il 2030. Senza un trattato, questo obiettivo sarebbe certamente fallito.

Finora infatti non esistevano meccanismi legali per creare aree protette marine (Mpa) nelle acque internazionali difendendo la fauna e condividendo le risorse genetiche. Benché rappresenti i due terzi degli oceani e quasi la metà del pianeta, l’alto mare è stato a lungo ignorato nelle battaglie ambientali, a vantaggio delle zone costiere e di qualche spazio emblematico. Ma con il progresso della scienza è emersa la necessità di proteggere gli oceani nella loro interezza perché producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e limitano il riscaldamento climatico assorbendo anidride carbonica. A minacciarli sono l’inquinamento di ogni tipo, l’acidificazione delle acque e la pesca eccessiva.

Tra i nodi che finora avevano impedito un accordo c’erano la procedura per creare le aree marine protette e il modello per gli studi di impatto ambientale. Ma soprattutto la spartizione delle risorse genetiche, come spugne marine, krill (piccoli crostacei), coralli, alghe e batteri, oggetto di crescente attenzione scientifica e commerciale per il loro potenziale uso in medicina e cosmetica, con relativi profitti.

I Paesi in via di sviluppo che non hanno i mezzi per finanziare spedizioni e ricerche molto costose si sono battuti per non essere esclusi dall’accesso a queste risorse e alla fine è passato il principio della condivisione. Come in altri fori internazionali, in particolare i negoziati sul clima, il dibattito è finito per ridursi a una questione di equità Nord-Sud, con una mano tesa da parte dei Paesi più ricchi. Con un annuncio visto come un gesto per rafforzare la fiducia Nord-Sud, l’Ue ha promesso a New York 40 milioni di euro per facilitare la ratifica del trattato e la sua prima attuazione.