ADOLESCENTI: COSTRUIRE PONTI EMOTIVI PER RICONNETTERE I GIOVANI ALLA VITA

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Chi sono gli adolescenti oggi?

L’adolescenza non è solo una fase di passaggio, è un universo complesso e fragile, sospeso tra l’infanzia che si dissolve e l’adulto che ancora non esiste. Gli adolescenti di oggi vivono in un’epoca in cui tutto è accelerato: le informazioni, le aspettative, i cambiamenti. Sono connessi digitalmente, ma spesso scollegati emotivamente. Vivono in bilico tra il bisogno di essere visti e la paura di essere giudicati. Dietro l’apparente disinvoltura, si nascondono solitudini profonde e domande esistenziali non ascoltate.

Cosa sentono: la tempesta invisibile!

Molti adolescenti oggi vivono una sofferenza silenziosa. Si sentono sotto pressione, inadeguati, soli. Le emozioni si muovono come una tempesta: rabbia, vergogna, delusione, ansia, tristezza. Spesso faticano a dare un nome a ciò che provano. Mancano strumenti, mancano interlocutori reali, manca una grammatica emotiva condivisa.

Sentirsi ascoltati non significa solo “parlare”: significa esistere nello sguardo dell’altro. Quando un adolescente sente che nessuno lo guarda davvero, che le sue emozioni vengono banalizzate o sminuite, smette di cercare. Si chiude. Si spegne.

Cosa stanno rischiando?

Il rischio più grande che corrono i giovani non è solo l’abbandono scolastico, il disagio psichico, la dipendenza da sostanze o dal web. Il vero rischio è la perdita di senso. È lo smarrimento. È la sensazione di non avere un posto nel mondo. Da qui nascono i comportamenti a rischio, le auto-esclusioni sociali, i gesti autolesivi, l’apatia. Quando non si ha più nulla da perdere, si inizia a perdere tutto.

La dignità dell’adolescente: una parola da restituire!

Parlare di dignità riferendosi agli adolescenti significa riconoscere il loro diritto a essere trattati come esseri umani completi, non come “fasi” da superare o problemi da risolvere. La dignità è il diritto di poter sbagliare senza essere etichettati, di essere ascoltati senza essere derisi, di essere fragili senza essere umiliati. È una parola che va restituita ai giovani, con consapevolezza e impegno. Troppe volte i ragazzi vengono umiliati nei luoghi dove dovrebbero essere accolti: a scuola, in famiglia, nella società.

Il ruolo della scuola: oltre la didattica!

La scuola non è solo un luogo di apprendimento, è uno dei principali spazi relazionali degli adolescenti. Ogni giorno, tra i banchi, si giocano sfide identitarie, sociali ed emotive. Una scuola che educa davvero è una scuola che si prende cura. Che sa riconoscere il disagio dietro un’insufficienza, la rabbia dietro un gesto provocatorio, il silenzio dietro un’apparente disinteresse.

Gli insegnanti sono figure-ponte fondamentali. Non devono essere psicologi, ma possono essere adulti significativi. Possono cambiare una vita con uno sguardo di comprensione, una parola giusta detta al momento giusto, una sospensione del giudizio.

Una scuola che promuove il benessere è una scuola che ascolta, accoglie, collabora con le famiglie, integra il supporto psicologico, lavora per prevenire il bullismo e non solo per punirlo.

Lo sport come palestra emotiva e relazionale!

Lo sport, spesso sottovalutato, è uno degli strumenti più potenti per costruire ponti emotivi. Insegna a conoscere se stessi, a gestire la frustrazione, a sviluppare empatia e spirito di squadra. Permette al corpo di esprimere ciò che la mente non riesce a dire. Riduce lo stress, stimola la serotonina, restituisce senso di competenza.

Un allenatore attento può essere un vero mentore, capace di valorizzare, sostenere e motivare. Lo sport educa al rispetto delle regole, ma anche alla solidarietà, alla resilienza, alla cooperazione.

Tuttavia, affinché sia realmente inclusivo e formativo, lo sport deve valorizzare tutti, non solo i “migliori”. Deve essere un luogo dove ogni giovane si senta visto, accolto e stimolato a crescere, non giudicato o escluso.

Costruire un ponte emotivo: significato e azione!

Un ponte emotivo è un canale affettivo, umano, profondo. Non è un concetto astratto, ma un atto quotidiano. Significa:
• Ascoltare senza giudicare
• Essere presenti con autenticità
• Validare le emozioni senza ridicolizzarle
• Essere coerenti tra ciò che si dice e ciò che si fa
• Offrire uno sguardo che accoglie, non che condanna

Costruire un ponte significa fare da tramite tra il mondo interiore del ragazzo e il mondo esterno, spesso incomprensibile e minaccioso.

I pilastri del ponte: la famiglia!

La famiglia è, o dovrebbe essere il primo grande ponte. Un ponte fatto di fiducia, contenimento, accoglienza e limiti sani. Quando la famiglia è emotivamente assente, disgregata, giudicante o instabile, quel ponte crolla. E il giovane si ritrova sull’orlo di un burrone, senza strumenti per costruirne uno nuovo.

Il genitore non deve essere perfetto, ma deve esserci. Deve comunicare amore anche nei silenzi, protezione anche nei momenti di conflitto. Deve imparare a “leggere” i segnali emotivi, a decifrare il silenzio, a non temere la rabbia dei figli. Perché spesso dietro quella rabbia si nasconde una richiesta d’amore.

Quando il ponte manca: il giovane invisibile!

Quando il ponte manca, l’adolescente non si limita a soffrire: sparisce. Diventa invisibile. Non perché non sia più fisicamente presente, ma perché si ritira dal mondo. Smette di partecipare, di credere, di sognare. Si chiude in una camera, in un telefono, in una bolla. E nessuno bussa davvero alla sua porta.

L’invisibilità è la più grande violenza emotiva che un giovane possa subire. Perché essere ignorati è peggio che essere rifiutati: è sentirsi nessuno.

Come costruire un ponte a motivi: una guida pratica!

Per costruire un ponte autentico, servono motivi veri, non solo buone intenzioni. Ecco alcuni “mattoni emotivi” fondamentali:
• Curiosità autentica: chiedere senza invadere, interessarsi senza forzare
• Tempo dedicato: anche 15 minuti veri valgono più di ore distratte
• Coerenza educativa: non dire “sei importante” e poi ignorare il ragazzo per giorni
• Umiltà emotiva: ammettere i propri errori, chiedere scusa, imparare insieme
• Empatia attiva: mettersi nei panni del giovane, anche quando sembra “esagerato”

Un appello finale: non lasciamo che diventino invisibili!

Non possiamo salvare ogni adolescente, ma possiamo esserci. Possiamo costruire ponti fatti di parole vere, abbracci sinceri, regole che contengono e non opprimono. Possiamo far sentire ai giovani che la loro vita vale, che le loro emozioni contano, che c’è spazio per loro.

Perché un adolescente che si sente guardato, riconosciuto e accolto… è un adolescente che può ricominciare a vivere.

Dott.ssa Psychologist · Criminologist · Victimologist