Approvata una proposta di legge del Consiglio regionale al Parlamento per garantire i diritti dei detenuti.
Da anni in ambito politico e legislativo si discute sul tema del riconoscimento del diritto soggettivo all’affettività e alla sessualità delle persone detenute.
Per questo come Consiglio regionale della Toscana abbiamo voluto dare il nostro contributo normativo: è stata infatti approvata a larga maggioranza (26 a favore e 6 contrari) una proposta di legge, che anch’io ho sottoscritto, che chiede di modificare la legge nazionale, del lontano 1975, in materia di “tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute”.
La proposta di legge in quattro articoli tocca i punti chiave del tema affettività e sessualità in carcere – rapporti con la famiglia, permessi, contatti telefonici – facendo riferimento a quanto fino ad oggi è stato prodotto sull’argomento: dal progetto di legge del 2006, alle riflessioni della Corte costituzionale del 2012, che invitava i legislatori a intervenire sull’argomento, fino alle recenti proposte elaborate dagli Stati Generali dell’Esecuzione penale.
In particolare con l’articolo 1 si interviene sul riconoscimento del diritto all’affettività intesa in senso ampio e da esercitare in spazi idonei. Si chiede quindi che i detenuti abbiano diritto a una visita al mese della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore e che le visite si svolgano in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti penitenziari, senza controlli visivi e auditivi, per garantire la riservatezza dell’incontro. L’esercizio del diritto all’affettività e alla sessualità potrà essere effettuato da tutte le persone autorizzate ai colloqui, senza distinzioni tra familiari, conviventi e “terze persone”.
L’estensione della possibilità di partecipare ad eventi che coinvolgono la sfera familiare è argomento dell’articolo 2, in cui si interviene sui cosiddetti “permessi di necessità”. Attualmente infatti questi sono concessi solo in caso di eccezionale gravità, in genere morte o malattie gravissime dei familiari. Si prevede che tali permessi possano essere concessi anche per eventi familiari non necessariamente traumatici, ma ritenuti di “particolare rilevanza”, importanti per i legami e la vita familiare e che quindi sia diritto del detenuto essere presente.
Con l’articolo 3 si regolamentano frequenza e durata dei colloqui telefonici, che potranno essere svolti quotidianamente da tutti i detenuti e per una durata massima raddoppiata, superando anche le ingiustificate restrizioni riservate ai detenuti del circuito di alta sicurezza.
Consapevoli della realtà delle nostre carceri con l’articolo 4 si chiede che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dia avvio ad interventi di sperimentazione e di adeguamento delle strutture penitenziarie presenti sul territorio nazionale per garantire, con l’entrata in vigore della legge, il diritto alla visita in almeno un istituto per regione, con l’obiettivo di rendere effettivo tale diritto in tutti gli istituti penitenziari entro l’arco temporale di sei mesi.
In questo modo l’Italia colmerebbe una grave lacuna e si allineerebbe ad altri paesi che hanno già legiferato in materia, tra cui Albania, Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.
Il diritto all’affettività e alla sessualità in carcere è inoltre riconosciuto come vero e proprio diritto soggettivo in numerosi atti sovranazionali, quali quelli dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, ci sono poi le Raccomandazione del Parlamento europeo sui diritti dei detenuti nell’Unione europea e del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sulle regole penitenziarie europee.
Senza dimenticare, come già detto, che è stata la stessa Corte Costituzionale a richianare l’attenzione del legislatore sul tema del riconoscimento normativo del diritto all’affettività e alla sessualità delle persone detenute. Secondo la nostra Corte la possibilità per la persona sottoposta a restrizione della libertà personale di continuare a mantenere, durante l’esecuzione della pena, rapporti affettivi anche a carattere sessuale, oltre che essere «esigenza reale e fortemente avvertita» corrisponde ad un vero e proprio diritto soggettivo da riconoscersi ad ogni detenuto.



