Circa la metà delle diagnosi che arrivano in ritardo, ossia quando l’infezione ha già preso piede nell’organismo; casi in leggero calo rispetto al 2023; contagi in aumento tra i migranti e uomini colpiti maggiormente delle donne.
È questo il quadro che emerge dal report ‘Hiv/Aids surveillance in Europe 2025’, sui dati del 2024, realizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in cui viene riportato che i casi di Hiv registrati Paesi dell’Unione europea e dello spazio economico europeo nel 2024 sono stati 24.164, con un un tasso di positività di 5,3 ogni 100.000 abitanti.
Hiv, Antinori (Spallanzani): “La sfida non è finita”
A spiccare è il fatto che più della metà (il 54%) delle diagnosi di Hiv in tutta Europa viene fatto troppo tardi per garantire un trattamento ottimale dell’infezione. Nell’Unione europea e nello spazio economico europeo il dato si attesta al 48%. La diagnosi tardiva rimane più frequente tra gli uomini eterosessuali, i tossicodipendenti e gli anziani, con significative variazioni geografiche.
“Il numero di persone che convivono con l’Hiv non diagnosticato è in aumento, una crisi silenziosa che alimenta la trasmissione”, spiega Hans Henri P. Kluge, direttore regionale per l’Europa dell’Oms. Inoltre, sebbene il numero delle diagnosi sia il 14,1% in meno rispetto al 2015 (6,2 ogni 100.000) e il 5,4% in meno rispetto al 2023 (5,6 ogni 100.000), questo trend in calo, viene spiegato nel report, “deve essere interpretato con cautela”, poiché “potrebbe riflettere vizi nelle segnalazioni piuttosto che una vera riduzione epidemiologica”.
“La non applicazione degli aggiustamenti standard per i ritardi di segnalazione, i ritardi residui e la maggiore tempestività di diagnosi dopo il Covid-19”, infatti, “potrebbero aver portato a un aumento dei casi segnalati subito dopo la pandemia, il che a sua volta influisce sui conteggi attualmente osservati”.



