ALLARME MUTUI, GIÀ 700.000 FAMIGLIE INDIETRO CON LE RATE

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Il Vicepremier Tajani: “L’aumento dei tassi da parte della BCE ci porta verso la recessione, l’inflazione europea è più rigida di quella americana perché deriva da fattori esterni e non di mercato interno”

Lo scenario rischia di peggiorare dopo le più recenti decisioni di Christine Lagarde, che il nostro Vicepremier Antonio Tajani è tornato a contestare da Palermo, in Sicilia, in occasione della commemorazione del quarantennale dell’assassinio del giudice antimafia Rocco Chinnici.

Nel nostro Paese, le famiglie indebitate sono oltre 6 milioni e, di queste, più di tre milioni hanno in corso un mutuo per l’acquisto della prima casa o abitazione principale. Ebbene, secondo uno studio condotto da Censis e Confcooperative, sarebbero addirittura 700.000 i nuclei familiari in ritardo di almeno una rata nei piani di ammortamento e rimborso con le rispettive banche affidanti.

Parliamo di una rilevazione precedente la deliberazione del Consiglio direttivo della BCE del giovedì appena trascorso, e per effetto della quale il tasso di riferimento è stato elevato di ulteriori 25 punti base passando dal 4 al 4,25 per cento, con conseguenze che nei prossimi mesi potrebbero addirittura portare l’importo di una singola rate sopra la soglia d’allarme dei mille euro, tale cioè da fagocitare gran parte di una normale entrata reddituale mensile di una famiglia con mutuo a tasso variabile e non nelle condizioni di legge di passare a un regime di tassi fissi (questi ultimi comunque destinati a salire a propria volta per effetto di variabili dirette e indirette).

Sebbene la stessa Presidente Lagarde abbia lasciato intendere che a settembre potrebbe anche non scattare l’ottavo aumento consecutivo del costo del denaro, nella medesima dichiarazione è stato altresì tuttavia precisato che nessuna riduzione dei tassi è all’orizzonte, e che la missione prioritaria rimane, per i Banchieri della Eurotower, ricondurre l’inflazione a un tendenziale due per cento.
Il problema è che il livello generale dei prezzi scende assai più lentamente delle previsioni originarie, in particolare per quanto riguarda la componente “core” al netto dei beni energetici, e pertanto la commistione fra tassi crescenti e costo della vita non simmetricamente declinante fa sì che la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane – in totale ammontante a 15.000 miliardi fra beni immobili, valori mobiliari e liquidità – si sia svalutata di quasi 700 miliardi di euro, mentre i redditi nominali correnti hanno subito un decremento di 100 miliardi nel proprio potere d’acquisto.

A fare da sfondo a questo scenario non più controllabile dal singolo Governo nazionale, permane una situazione diffusa di contrattazione collettiva di lavoro scaduta, non rinnovata o “in prorogatio” che riguarda il 57 per cento dei CCNL del settore privato, per un totale di più di 7 milioni e 700.000 dipendenti con retribuzioni non più adeguate né aggiornate a livelli di carovita destinati a permanere agli attuali valori per un tempo tutt’altro che breve.

Poiché il Governo Meloni ha ribadito la propria contrarietà di principio al salario minimo, vedendo in esso il rischio di un allargamento delle sacche di economia lavorativa sommersa o irregolare, la Ministra del welfare Marina Calderone ha indicato la soluzione alternativa in un mix di riduzione prorogata del cuneo fiscale, detassazione degli aumenti salariali derivanti dai rinnovi dei CCNL ed estensione dell’efficacia erga omnes di questi ultimi alle categorie di lavoratori poveri e precari che a parità di mansione non godono di tale copertura.

Intendimento pure condivisibile, se non fosse che prolungare al 2024 gli attuali sconti contributivi sulle buste paga più basse, e introdurre il meccanismo della defiscalizzazione per le differenze retributive in aumento – a seguito della rideterminazione della contrattazione collettiva -, significa individuare fin dalla prossima nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, e quindi dalla prossima legge di stabilità e di bilancio, risorse annue specifiche per almeno 12 miliardi, solo in parte recuperabili dalla parziale cancellazione del reddito di cittadinanza.

Interrogativi, quelli sulle coperture mancanti, che del resto non sembrano trovare risposte concrete nelle attuali discussioni che orbitano intorno al disegno di legge delega sul riordino del sistema tributario, benché qualche primo accenno in tal senso potrebbe provenire dalla revisione degli scaglioni di reddito e delle corrispondenti aliquote Irpef concentrando i benefici della redistribuzione del carico fiscale, da un lato, sulle fasce di trattamento retributivo (e pensionistico) più depauperate dall’inflazione e, dall’altro, sulle mensilità aggiuntive e sulla differenza in aumento di salari e stipendi dovuta appunto ai rinnovi dei CCNL: quella che dovrebbe essere la cosiddetta flat tax incrementale.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI