Il quadro generale che emerge è quello di un disagio sociale diffuso e strutturale, che nonostante il calo dei disoccupati non accenna a ridursi, poiché il miglioramento dei dati sull’occupazione è in gran parte assorbito dalla crescita di forme di lavoro precarie, temporanee e a basso reddito.
E’ quanto evidenzia Unimpresa, nel suo report in cui sono stati elaborati gli ultimi dati forniti dall’Istat: nonostante la ripresa economica e il lieve miglioramento del mercato del lavoro, il disagio sociale in Italia resta su livelli allarmanti e il totale degli italiani a rischio povertà, indigenza o esclusione sociale – disoccupati, precari, lavoratori sottoccupati o con contratti deboli – è rimasto sostanzialmente invariato: 8 milioni e 550mila persone, solo 2mila in più rispetto all’anno precedente.
È il lavoro povero a crescere e ad alimentare l’area di disagio sociale, rimasta stabile nonostante la riduzione della disoccupazione. In totale, coloro che sono senza lavoro scendono da 1 milione e 947mila del 2023 a 1 milione e 664mila nel 2024, con una riduzione di 283mila unità (-17%). In particolare, calano sensibilmente gli ex occupati (-21,5%) e le persone in cerca della prima occupazione (-9,8%). Ma a fronte di questo calo della disoccupazione, cresce la quota di occupati in condizioni lavorative fragili. È il cosiddetto “lavoro povero”: chi ha un impiego, ma vive comunque in condizioni economiche precarie ovvero i “working poor”.
Nel 2024, sono 6 milioni e 886mila gli italiani in questa condizione, 285mila in più rispetto all’anno precedente (+4,1%). A trainare questa crescita sono soprattutto i contratti a termine a tempo pieno, saliti da 2 milioni e 21mila a 2 milioni e 554mila (+20,9%). In calo, invece, i contratti part time a termine (-20,1%) e quelli a tempo indeterminato ma part time involontario (-4,9%). Segno che aumenta il lavoro “a scadenza”, ma anche che persiste un diffuso fenomeno di sottoccupazione, in particolare tra le donne. Si osserva, inoltre, un leggero aumento delle collaborazioni (+10,8%) e una sostanziale stabilità tra i lavoratori autonomi part time. Entrambe categorie spesso escluse da tutele e con redditi altalenanti.



