Al contrario di Friedrich Merz, che mette a verbale una seppur timida apertura al progetto franco-britannico di spedire truppe in Ucraina («ne discuteremo a tempo debito»), Giorgia Meloni, collegata da remoto come il cancelliere tedesco con gli altri leader a Parigi, ribadisce che no, l’Italia è «indisponibile» a mandare militari a Kiev a guerra finita.
La premier è allineata con il primo ministro di Varsavia Donald Tusk (e con il presidente polacco, l’iper sovranista Karol Nawrocki, ricevuto ieri sera a Palazzo Chigi). Distante da Emmanuel Macron e Keir Starmer. Ma sceglie comunque di non sganciarsi dal blocco europeo. Dunque formalmente anche Roma farà parte dei 26 volenterosi che forniranno garanzie militari al paese di Volodymyr Zelensky dopo un cessate il fuoco. Ma il supporto al progetto anglo-francese sarà minimo. L’Italia è disponibile ad attivarsi tramite «iniziative di monitoraggio e formazione» dei soldati di Kiev, ma «al di fuori dei confini ucraini».
L’attività di addestramento, spiegano fonti governative, avverrebbe peraltro in Italia, in prima battuta. In una seconda fase potrebbe spostarsi in altri paesi dell’alleanza atlantica, come Polonia o Romania. Nulla in Ucraina. Anche l’ipotesi dello sminamento pare tramontata: la stessa Meloni lo ha escluso, al termine del vertice di maggioranza dalla scorsa settimana, con Antonio Tajani e Matteo Salvini, il più ostile all’ipotesi di coinvolgere le truppe italiane nel progetto di Starmer e Macron.

