In precedenza, nel corso della settimana erano arrivate indicazioni da falco da parte di Jerome Powell che, nel corso del suo intervento durante l’audizione al Congresso, ha ribadito che la Fed è pronta a frenare la prima economia, se da questa dovessero continuare ad arrivare segnali di forza, alzando il costo del denaro di 50 punti base (contro i +25 bp dell’ultimo meeting)
“Se dai dati in arrivo emergerà la necessità di aumentare il ritmo dei rialzi, siamo pronti”, ha rilevato il presidente della banca centrale USA. Stesse indicazioni aggressive sono arrivate anche a proposito del “tasso finale”, che “probabilmente sarà più elevato di quanto stimato in precedenza”.
Anche se la testimonianza di Powell era abbastanza attesa dai mercati, tuttavia non ha lasciato molto spazio ad interpretazioni differenti e più morbide. Powell ha infatti dichiarato che i recenti dati macro, più forti delle attese, suggeriscono che il picco dei Fed Funds sarà probabilmente più alto di quanto indicato in precedenza, nelle proiezioni di dicembre.
Sostanzialmente vi è stata l’ammissione che, a parte l’impatto abbastanza visibile sul comparto immobiliare, gli effetti della politica monetaria hanno faticato a trasmettersi all’economia. Sull’inflazione Powell ha notato che la componente CPI dei servizi ex shelter (indicatore giudicato di recente come “faro” dalla Fed) sta dando scarsi segnali di particolare rallentamento.
Gli ingredienti di ulteriore inasprimento della politica monetaria ci sono stati tutti, dal picco dei Fed Funds più elevato, alla possibilità di aumentare l’entità/ritmo dei rialzi a 50 bp, per finire con l’economia più forte di quanto stimato e un’inflazione più resiliente che richiede restringimento prolungato.



