AUTO GREEN, RISCHIO CONTI IN ROSSO PER LA MIDDLE CLASS

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Nell’ultimo periodo di osservazione, risultano in netto calo sia il numero assoluto di immatricolazioni, sia la quota in percentuale sul totale dei veicoli di nuova produzione collocati sul mercato

Due sintomi del medesimo indicatore di fondo: senza incentivi né agevolazioni adeguate, le auto a sola trazione elettrica rischiano di essere economicamente accessibili a una nicchia ristretta di compratori a più alta capacità reddituale. All’incirca, lo stesso paradosso (apparente) dei risultati a consuntivo del super eco bonus al 110 per cento, che in forma di detrazioni fiscali ha finito con il favorire un 10 per cento di contribuenti maggiormente benestanti e una percentuale di immobili residenziali pari a meno del 4 per cento del totale del patrimonio abitativo nazionale.

Adesso, pertanto, si tratta di fare in modo che lo stesso epilogo non abbia a ripetersi con riferimento alle autovetture green. Nei confronti delle quali occorrono incentivi effettivamente bilanciati nei confronti di una “middle class” che da un lato appare impoverita sul fronte dei flussi reddituali correnti, dall’altro però evidenzia saldi di conto corrente abbastanza importanti cumulati in ragione delle incertezze insorte dalla prima ondata pandemica a oggi.

Il CEO di ex Fiat – FCA oggi Stellantis (FCA – Peugeot), Carlo Tavares, da alcuni mesi insiste, con calcoli alla mano, nel sottolineare il rischio che l’auto “verde”, in forza dei propri listini finali, mandi in rosso i bilanci delle famiglie di classe media, in quanto un prezzo medio di 40.000 euro si rivelerebbe per le stesse proibitivo.

Lo stesso ha ribadito in un secondo momento il nostro Ministro per l’ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin: “Le auto verdi sono roba da ricchi”, in ciò coadiuvato nel giudizio dal suo collega all’industria e al made in Italy Adolfo Urso: “Gli incentivi alle vetture verdi non sono utili, perché chi se le può permettere non ha bisogno di essi”.

La causa di questo discende anzitutto dalla circostanza che, per le materie prime essenziali alla realizzazione della tecnologia green, l’Europa non è indipendente, ma è destinata almeno per il medio periodo a essere zona importatrice soprattutto dalla Cina e dall’Africa (dove la Grande muraglia, così come la Russia, ha piantato delle bandierine importanti).

Nello stesso tempo, l’Italia – Paese storicamente leader nella tradizione della manifattura automobilistica – dimostra un gap e un divario ulteriori che impongono una transizione ben più lunga di quella proiettata al 2035 e che traggono origine da una politica di incentivi statali, stimati da alcune fonti in 220 miliardi di euro equivalenti in 40 anni – avrebbero favorito il perpetuarsi di tecnologie a basso contenuto innovativo.

Adesso che la resa dei conti è arrivata, e l’Italia ha frapposto il veto all’entrata in vigore della direttiva che ammette i modelli green come unica tipologia di vettura vendibile dal 2035, ci si interroga su come mantenere una certa neutralità tecnologica nell’era della sostenibilità. Un dilemma non da poco, perché dover scegliere tra la compatibilità ambientale e quella economica è il primo passo verso l’iniquità sociale.

Il no dell’Italia alla direttiva green avrebbe svegliato l’Europa, secondo il ministro Urso: prioritario è risvegliare la nostra produzione industriale.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI