(I parte: la storia – II parte: esterno della chiesa – III parte: interno della chiesa)
I parte: la storia
VERONA – Zeno, ottavo vescovo di Verona, è vissuto nel IV secolo d. C. (morì tra il 372 ed il 380) ed era originario della Mauritania, per cui viene spesso chiamato “il Vescovo Moro”, da cui anche il colore scuro delle sue statue.
I miracoli attribuiti a San Zeno, patrono di Verona, includono guarigioni e liberazioni dal demonio. Tra le leggende più famose ci sono il miracolo dei pesci rubati e donati, il salvataggio della figlia di un magistrato e il fermo delle acque dell’Adige durante un’inondazione.
Si narra infatti che il fiume in piena avesse abbattuto le mura della città e raggiunto la chiesa, in cui avevano trovato rifugio molti veronesi, sommergendola ma non riuscendo, poi, a entrare né dalle finestre né dalle porte. Spicca, infine il miracolo relativo alla grande coppa in porfido di origine romana sottratta dal santo al demonio che vi ha lasciato i segni (visibili) delle sue unghie.
Il cristianesimo arrivò a Verona molto presto; infatti il primo vescovo della diocesi, Euprepio, venne nominato intorno alla prima metà del III secolo.
Francamente, tra le varie fonti consultate per questa ricerca – tutte degne di attenzione e credibili – abbiamo trovato alcune differenze che anche voi riscontrerete se farete delle ricerche, ovvero notizie che pur avvicinandosi non coincidono; ce ne scusiamo, dichiarando la nostra incolpevolezza, avendo riportato, senza confutarle né avallarle, informazioni provenienti da fonti così diverse.
La basilica di San Zeno, conosciuta anche con il nome di San Zeno Maggiore o San Zenone, è un indubbio, importante luogo di culto cattolico che sorge nel cuore della città e rappresenta uno dei capolavori dell’architettura medievale giunto fino ai nostri giorni.
L’attuale struttura venne realizzata sullo stesso sito dove erano sorti anni prima almeno altri cinque edifici religiosi; sembra che la sua origine sia da ricercarsi in una chiesa edificata sulla tomba del santo.
È probabile che una prima ricostruzione dell’edificio sia collocabile all’epoca dei Goti (V-VI secolo), come confermano alcuni frammenti di pietra scolpita in stile bizantino; è altresì probabile che lo stesso Teodorico il Grande abbia contribuito a tale fabbrica, come d’altronde fanno menzione gli Annales Valesiani.
Si può desumere che questo antico edificio fosse ricco di colonne, pilastri, capitelli e pulvini, tutti di marmo, così come doveva essere il pavimento.
Caduto il regno dei Goti nel 553, dopo un breve domino bizantino Verona passò in mano dei Longobardi e il re Alboino ne fece una delle sue residenze preferite. I Longobardi, di fede ariana, acconsentirono che permanesse in città un vescovo cattolico, e il re Desiderio concesse alcune donazioni che andarono a costituire il patrimonio della Domus Sancti Zenonis.
Questo edificio venne comunque riedificato all’inizio del IX secolo contestualmente all’omonima Abbazia per volere dell’arcidiacono Pacifico, del vescovo Ratoldo e del re franco Pipino d’Italia, i quali giudicarono sconveniente che il corpo del santo patrono riposasse in una chiesa così piccola.
La tradizione vuole che l’arcidiacono Pacifico contribuisse alla fabbrica; la consacrazione avvenne l’8 dicembre 806, mentre il 21 maggio dell’anno successivo il corpo di san Zeno fu traslato nella cripta, «una chiesa sotterranea oscura sopra colonne, et lo pavimento di quelle pietre vive et anco fecero fare uno avello de marmo polito lo quale destinarono al corpo del Santo Zenone pe la sua sepoltura».
In occasione delle invasioni degli Ungari, che imperversarono tra l’899 e il 933, la chiesa ed il monastero (che erano ancora fuori dalla cinta difensiva e che saranno inclusi solo con le mura scaligere) riportarono notevoli danni, tanto che nel 967 il vescovo Raterio promosse una nuova ricostruzione, ottenendo i fondi dall’imperatore tedesco Ottone I in cambio dell’ospitalità che aveva ricevuto in città. Il grande progetto in stile romanico si concretizzò intorno alla fine dell’XI secolo e al principio del XII. Nel 1045 l’abate Alberico (1045-1067) dette inizio alla costruzione del campanile, come ricordato da una scritta posta sulla sua base nel fianco occidentale.
Nel 1117 i lavori subirono una battuta di arresto per via dello storico devastante terremoto, tuttavia tra il 1120 ed il 1138 gran parte di quella che è la chiesa attuale era stata completata, come confermato dall’epigrafe collocata sul fianco esterno nei pressi della facciata.
Questa dichiara che il restauro del campanile e la costruzione della prima cella campanaria furono compiuti nel 1120, mentre la ricostruzione e l’allungamento della chiesa, con l’aggiunta almeno di una campata, erano stati ultimati nel 1138 (“A restauratione vero ipsius campanilis confluxerant anni LVIII”).
Il chiostro abbaziale fu completato nel 1123 ad opera di Gaudio. Due iscrizioni situate vicino alla tomba di Giuseppe della Scala raccontano che Gaudio fece realizzare anche un sepolcro decorato da pitture e donò all’abbazia una fornitura continua di olio perché potesse essere tenuta accesa tutta la notte la lampada del chiostro.
Nel 1145 venne iniziata anche la grande torre merlata dell’abbazia, ancora oggi esistente, i cui interni sono decorati con affreschi del XIII secolo. A quel tempo essa serviva come baluardo difensivo, in quanto la basilica, che si trovava fuori dalle mura, era soggetta a pericoli. A partire dal 1165 fu sopraelevato il campanile che venne terminato nel 1173 sotto la direzione di maestro Martino.
L’abate Ugone nel secondo anno del suo governo, il 1189, trattò con lo scultore Brioloto de Balneo per l’esecuzione di alcuni lavori per la chiesa. Al maestro si attribuisce la realizzazione della cosiddetta Ruota della Fortuna, il rosone sulla facciata, decorato da sei statue che raffigurano le alterne fasi della vita umana.
Nei lavori a San Zeno Brioloto fu aiutato dal lapicida Adamino da San Giorgio che lasciò la sua firma su un capitello all’interno della chiesa, in cui si legge «magister Adam murarius qui fuit de Sanzorzio». A lui si attribuiscono le ghiere degli archi di accesso alla cripta e le cornici superiori della facciata.
Per collocare la grande Ruota della Fortuna fu necessario praticare un vasto squarcio nel muro, successivamente ricostruito. Al di sopra della nuova cornice orizzontale, il muro del timpano fu rivestito esteriormente di marmo, su cui venne incisa la scena del Giudizio Universale (fine XIII secolo), oggi andata perduta.
Un documento datato 30 marzo 1194 informa della possibilità di impartire il battesimo e, pertanto, fu necessario realizzare nella chiesa anche un battistero. Pure questo manufatto venne commissionato a Brioloto.
Il 23 maggio del 1238 nella basilica si tennero le sontuose nozze tra Selvaggia, figlia dell’imperatore Federico II di Svevia, ed Ezzelino III da Romano; si presume che lo stesso imperatore abbia soggiornato nella torre abbaziale.
Tra la fine del XIII e il principio del XIV secolo Verona trascorse un periodo caratterizzato da un grande fermento costruttivo: a quel tempo venne di conseguenza deciso di ampliare l’abside di San Zeno, che venne ricostruita in momenti diversi: la prima fase intorno all’anno 1300, mentre la seconda verso la fine del secolo.
Intorno alla fine del Trecento si trovava a Verona l’architetto Giovanni da Ferrara ed a lui furono affidati l’ampliamento dell’abside e l’apporto di altre modifiche. Giovanni incominciò i lavori nel marzo 1386 e, dopo alcune interruzioni dovute a vicende politiche, li portò a termine nel luglio del 1398, sempre coadiuvato dal figlio Nicolò.
L’abside così rinnovata, in stile gotico, venne poi adornata di affreschi dall’abate Pietro Paolo Cappelli, il cui stemma è scolpito sull’arco trionfale, e dall’abate Pietro Emilei, l’ultimo abate monaco a capo dell’abbazia (che con vanità pose la sua arma nobiliare nella chiave di volta e sul pilastro dello stesso arco).
Nonostante questi lavori migliorativi, durante tutto il XIV secolo il monastero sperimentò un periodo di forte decadenza: i monaci erano oramai pochi e le disponibilità economiche ridotte a seguito delle spogliazioni perpetrate dagli Scaligeri.
Nel giugno 1405, con la dedizione (giuramento di fedeltà) di Verona a Venezia, la città passò sotto il controllo della Serenissima e a capo di San Zeno cessarono di esserci gli abati monaci e nel 1425 incominciò il periodo degli abati commendatari.
All’inizio del XVI secolo si affermò, in Italia, uno spirito nuovo che coinvolse soprattutto le arti. La scoperta del trattato De architectura di Vitruvio diede uno dei maggiori impulsi a questo nuovo stile e gusto, dando vita più tardi all’architettura rinascimentale.
Anche la basilica di San Zeno fu coinvolta in questi cambiamenti: nei primi anni del secolo si eseguirono molte opere, tra cui abbattimenti, trasformazioni e spostamenti, che contribuirono a conferire alla chiesa l’aspetto definitivo. Il coro venne rimosso dalla chiesa superiore e fu realizzato un nuovo altare maggiore dedicato alla Vergine, compiuto nel 1535.
Il 5 dicembre 1770 la Serenissima decretò la soppressione dell’abbazia di San Zeno, ed i suoi beni immobiliari passarono in buona parte agli Ospedali Civili di Verona, mentre il fondo librario andò a costituire il primo nucleo della Biblioteca Civica.
Quando, nel 1816, venne soppressa la vicina chiesa di San Procolo, la parrocchia locale passò alla chiesa di San Zeno e l’abate guadagnò anche il titolo di arciprete. Inoltre, a San Zeno vennero portate le sculture, le lapidi e gli altari che si trovavano nella chiesetta parrocchiale oramai inutilizzata.
Nel 1801 si diede inizio alla demolizione di parte del complesso abbaziale. Il 1838 fu un anno importante per le vicende della basilica, in quanto vennero trovate le reliquie del santo patrono.
Le ricerche erano incominciate già con il passaggio della sede parrocchiale da San Procolo a San Zeno ma, dopo molte infruttuose fatiche, il 22 marzo vennero scoperte le ossa. Si decise, tuttavia, di aspettare che passasse la Pasqua per l’estumulazione completa e il 20 aprile, alla presenza di una numerosa commissione, venne aperta la tomba; l’abate Cesare Cavattoni lasciò una particolareggiata descrizione dell’avvenimento.
Le sacre spoglie vennero ricomposte e collocate in un’urna di legno dorato con vetri ai lati. In seguito, per rispetto e riverenza, le ossa vennero vestite da un paludamento episcopale di seta rossa ricamata in oro.
Nel 1870 venne demolito lo scalone centrale e si recuperarono le vecchie scale laterali; contestualmente venne realizzato il pontile-tramezzo che separa la chiesa plebana dal presbiterio, sulla cui balaustra vennero collocate tredici statue di epoca medievale.
Il celebre trittico di San Zeno, dipinto da Andrea Mantegna poco dopo la metà del XV secolo, nel 1931 – dopo che era stato spostato al museo civico cittadino per preservarlo durante la prima guerra mondiale – venne ricollocato sul nuovo altare maggiore (l’attuale) costruito nel 1930.
Nell’anno successivo si diede inizio al restauro dei dipinti dell’abside e dell’arco trionfale, alla realizzazione di nuove vetrate e alla riapertura della finestra posta sul fianco meridiano.
Nel 1938, in occasione della ricorrenza del centenario del ritrovamento del corpo del santo patrono, vennero eseguiti alcuni lavori nell’abside della cripta, al fine di migliorarne le condizioni igieniche e di renderla più decorosa, così come si fece con la tomba di San Zeno.
La chiesa fu elevata alla dignità di basilica minore nel 1973.
….continua …
Per informazioni: info@chieseverona.it
Post scriptum. Le fonti delle notizie di questo articolo sono state tratte “et ab hic et ab hoc” da: Collana Guida d’Italia: Veneto (esclusa Venezia), Milano Touring Club Italiano 1992 – Appunti e ricerche di Renato Cortese, fratello dello scrivente e da Internet – Wikipedia –
Nella foto dell’autore: la splendida Pala del Mantegna e la vasca in porfido rosso, di oltre 2m, con i graffi che secondo la leggenda furono fatti dal demonio a cui san Zeno l’aveva sottratta e posta nella chiesa per non venire più toccata.
Franco Cortese Notizie in un click



