BCE, È INIZIATA LA MARATONA DEI TASSI?

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La spirale inflazionistica globale, sebbene indotta da fattori importati per quanto riguarda il vecchio Continente, ha comportato la prevalenza del pensiero rigorista nel direttivo presieduto da Christine Lagarde

Dopo l’aumento deliberato questa settimana di 75 punti base, le ipotesi circolanti indicano due ulteriori rialzi, da qui a fine anno, per un totale di altri 125 punti base. L’obiettivo è quello di rafforzare l’euro nei confronti del dollaro statunitense e di ricondurre alla soglia tendenziale del due per cento la variazione del livello generale dei prezzi.

Al momento, i mercati finanziari e le piazze borsistiche hanno espresso reazioni non traumatiche a una decisione che, sul costo del denaro nella zona della moneta unica UE, era stata ampiamente prevista è indicata dagli analisti come acquisita.

È dunque scoccata l’ora della fine della prudenza e dell’addio alla cautela e alla considerazione degli effetti di un rincaro sostanziale dei tassi sull’economia reale? Come è stato evidenziato in più occasioni, alla base di tutto vi è il trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione Europea, in pratica la “Costituzione” della UE, nel quale sono fissate con chiarezza le competenze delle singole Istituzioni, e alla BCE viene attribuito il compito di presidiare la stabilità della moneta unica e di mantenere sotto controllo quella “tassa impropria” (nella definizione di Einaudi) chiamata inflazione. La politica economica, per quanto si debba coordinare di fatto con quella monetaria, spetta invece alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio europeo.

Le differenze però sono evidenti: mentre il direttivo della BCE è contrassegnato da una certa speditezza decisionale – tanto che in due mesi sono stati adottati due aumenti ai tassi di sconto -, le scelte degli organismi politici sono rallentate da meccanismi di tipo “unanimistico” e da sistemi di veto tipici delle organizzazioni a carattere intergovernativo, e lo stallo sul “price cap” – ossia la necessità di fissare un tetto massimo ai prezzi di acquisto del gas e dell’elettricità – è la conferma di un procedimento oramai anacronistico e non più compatibile con gli scenari velocizzati di un’economia globale radicalmente diversa dal 1991, anno della prima firma apposta al trattato di Maastricht. In quest’ultimo non viene infatti specificato il tipo di inflazione a cui si deve fare fronte, se da domanda interna (come in linea prevalente è quella americana) o da costi esterni (che è la fattispecie dominante in Europa e ancor più in Italia dove gli aumenti salariali riguardano solo alcune nicchie di produttività o di figure professionali difficilmente reperibili).

Le conseguenze della linea di condotta inaugurata dalla BCE di Lagarde nel nuovo attuale scenario dell’economia bellica sono chiare sia agli esperti che agli operatori finali – consumatori e imprese – su cui ricadranno gli effetti degli aumenti del costo del denaro: per coloro che hanno la possibilità di accumulare risparmio, aumenteranno le opzioni e le offerte di prodotti e servizi, bancari e finanziari in genere, volti a garantire una certa redditività anche in riferimento a conti correnti e depositi semplici che usciranno dalla soglia dei tassi zero o negativi.

Questo indurrà una certa concorrenza tra titoli obbligazionari privati e anche pubblici, con i BTP italiani che – pur continuando in parte a essere assorbiti dallo scudo antispread della BCE – dovranno sottoporsi al gradimento dei sottoscrittori di mercato (banche, fondi e famiglie), e lo stesso meccanismo varrà per i Bund tedeschi, ragione per cui lo spread dovrebbe sì accrescersi ma senza deragliare o ampliare troppo la forbice.

Altra questione riguarda chi viceversa non può accumulare risparmio e necessita invece di liquidità in forma di mutui o prestiti, dove il passaggio delle famiglie e delle imprese dal tasso variabile al tasso fisso non appare al momento così scontato, in considerazione della inevitabile tendenza di molti istituti di credito a rendere più onerosi i finanziamenti che applicano interessi formalmente non variabili.

Altro capitolo è quello dei prestiti e della liquidità alle imprese: l’associazione bancaria italiana, con il Presidente Antonio Patuelli, ha chiesto una proroga degli strumenti delle moratorie e delle garanzie pubbliche sui prestiti bancari – almeno fino a quando l’allarme energetico si protrarrà – mentre una rilevazione della Banca d’Italia e della federazione sindacale Fabi ha evidenziato un altro dato allarmante, ossia che l’ottanta per cento del risparmio che le famiglie italiane investono nei portafogli dei fondi di investimento va a finanziare aziende, compagnie e gruppi esteri, meglio in grado di strutturarsi con strumenti di apertura alla capitalizzazione alternativa all’indebitamento.

Un capitolo, questo, dimenticato dalla campagna elettorale in corso, dove la parola dominante rimane quella dello “scostamento”, cioè di ulteriore debito pubblico da contrarre (e far contrarre).

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI