Bonaccini. È come Renzi: celebra solo se stesso

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Non c’è giorno che Bonaccini non ci propini una intervista o un’apparizione televisiva. Ossessivo, incontenibile il suo presenzialismo in questa campagna elettorale che in verità non lo dovrebbe riguardare direttamente trattandosi di elezioni politiche.

Si suppone che la sua attività di amministratore alla regione Emilia-Romagna sia così poco impegnativa da consentirgli di dedicare tempo ed energie ad altro. Naturalmente la motivazione di un tale attivismo sarebbe nobilissima: dare una mano a Letta, al Pd, al centrosinistra.

Tuttavia non c’è media che, nel dargli la parola, non gli attribuisca l’intenzione di fare le scarpe a Letta dopo il 25 settembre. Dunque, il primo a saperlo è lui. Più Bonaccini lo smentisce con parole in verità tutt’altro che recise, più ci si conferma nell’impressione contraria. Basterebbe questo per suggerirgli di trattenere la sua bulimia presenzialista e comunicativa.

Se davvero volesse smentire si darebbe una calmata. Intendiamoci: il suo non è un caso isolato. Piuttosto si inscrive nella dilagante abitudine di amministratori che, appena poggiano le terga sulla seggiola per un secondo mandato, già sono tutti concentrati sul loro personale futuro. Singolari autonomisti che occhieggiano a Roma.

Stretto collaboratore di Bersani, in un battibaleno passò con Renzi. Oggi le sue posizioni politiche sono molto simili a quelle dell’ex rottamatore. Palesemente su di lui puntano gli ex renziani del Pd e per lui tifano quelli che Renzi lo hanno seguito.

Come si evince anche da questa campagna elettorale, la missione, quasi l’ossessione di Renzi e dei suoi, è essenzialmente quella di fare del male al Pd. Egli lo dichiarò apertamente quando lasciò il partito.

L’affinità di Bonaccini con Renzi non sta solo nel posizionamento politico, ma anche in un ego debordante. Si veda l’autocelebrazione che trasuda da ogni pagina del suo libro titolato La destra si può battere, come da tutte, ripeto, tutte le sue quotidiane esternazioni. Egli celebra se stesso come artefice di un’impresa eroica, di un “miracolo” tutto suo nella sconfitta di Salvini alle Regionali, proponendosi come depositario sicuro di una ricetta nazionale. Sarebbe il caso di fargli notare tre particolari.

Primo: l’Italia non è l’Emilia, battere la destra su scala nazionale è cosa un tantino più difficile, ci mancherebbe che si fosse perso anche lì, a Bologna. Dove peraltro una mano decisiva gliela diedero da un lato le Sardine, dall’altro Salvini con la sua campagna maldestra.

Secondo: il senso civico e la tradizione di buona amministrazione (da Bersani a Errani, per menzionare solo gli amministratori più recenti di una lunga catena) contano assai di più dell’ultimo erede e semmai beneficiario di essi. Ascoltando Bonaccini, par di sentire il Formigoni che attribuiva a sé le “eccellenze” di una regione, la Lombardia, messa un po’ meglio, che so, della Calabria.

Terzo: c’è modo e modo di vincere, specie considerando la partita nazionale. Mi spiego: si può vincere affermando i propri valori o, diversamente, facendo una politica che insegue, omologandosi, i valori altrui (specie dopo il “promoveatur ut amoveatur” della sua vice, la brava Elly Schlein). Appunto al modo di Renzi. Stento a credere che il Pd voglia ripetere l’errore di allora: illudersi di vincere perdendosi, affidandosi a chi lo fa deragliare… Non sono sicuro che Letta gradisca un “aiuto” troppo zelante.

FRANCO MONACO