BRUXELLES VERSA UN PO’ DI CAMOMILLA ALL’ITALIA NELLA TISANA DELL’AUSTERITY

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Intanto a Roma il Ministro Raffaele Fitto rassicura il Parlamento: il Pnrr sarà pienamente attuato grazie alla riprogrammazione dei tempi nel negoziato con l’Unione Europea. Il rinvio riguarderà pertanto pure gli asili e le scuole per l’infanzia

La Commissione UE ha concluso i primi conti all’interno dello scenario simulato fondato sul progetto di riforma del Patto di stabilità e crescita, nel caso quest’ultimo venisse approvato dalla totalità degli Stati membri, Italia compresa, secondo le procedure di tipo unanimistico.

In base a tali proiezioni, ogni anno il nostro Governo dovrebbe predisporre manovre di correzione del deficit pubblico nella misura di “soli” 14 o 15 miliardi, giudicata coerente con l’esigenza di tenere sotto controllo il fabbisogno dello Stato da finanziare con successive emissioni di titoli del debito pubblico.

Rimangono confermati i parametri finalistici di fondo del trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione che dal 1993 ha preso il posto della Comunità Europea, ossia il rapporto del 3 per cento e del 60 per cento del prodotto interno lordo per quanto rispettivamente attiene al deficit e al debito della Repubblica Italiana.

A mutare, in maniera piuttosto sostanziale, sono le procedure che compongono i passaggi intermedi per tendere al risanamento dei conti pubblici. Nella consapevolezza, che è stata riconosciuta dallo stesso commissario UE ed ex Premier di Roma Paolo Gentiloni, di come le imposizioni degli obiettivi di disavanzo e di passivo a cadenza annuale, per quanto utili a favorire una forma di disciplinata convergenza macroeconomica di area vasta, alla fine (ma non avrebbe potuto essere diversamente) non abbiano centrato le attese di armonizzare e tenere assieme le diverse esigenze di riduzione del debito, di sostegno agli investimenti e di consolidamento estensivo della crescita economica su base nazionale e continentale.

I singoli Governi, pertanto, nel riformato scenario del Patto di crescita e di stabilità (l’inversione degli addendi qui cambia il risultato di prospettiva e non si traduce in pura formalità semantica), avranno a disposizione un orizzonte almeno quadriennale, prorogabile di ulteriori tre anni, nel quale situare i propri piani di rientro dal deficit e di conseguenza dal debito, indicando attraverso univoche previsioni degli andamenti di spesa pubblica una credibile traiettoria di contenimento del primo e del secondo parametro; quindi con la possibilità di operare scostamenti di una certa flessibilità nel caso in cui questi fossero richiesti dalla necessità di sostenere lo sviluppo economico reale e la riduzione degli squilibri sociali e territoriali all’interno del territorio nazionale. In altri termini, si pone di più l’accento sull’esigenza di aumentare il valore del minimo comune denominatore – dicasi PIL o reddito nazionale – per attenuare l’impatto del numeratore – il deficit e il debito – e per calmierare l’enfasi finora attribuita a questi ultimi dai contabili di Bruxelles.

Un passaggio di non poco conto, che per potersi perfezionare, a beneficio di Paesi come l’Italia, dovrà tuttavia passare dal parere favorevole della Commissione di Bruxelles e dal responso decisivo del Consiglio dei ministri UE. Tanto che gli Stati del Nord hanno già espresso nei confronti di un simile pacchetto di revisioni del Patto di fiscal compact una pluralità di obiezioni che lamentano presunti favoritismi indirizzati all’area euro mediterranea.

Nel frattempo, a Roma, è battaglia parlamentare sui ritardi nel conseguimento dei fondi del Pnrr: il ministro delegato Raffaele Fitto, proprio ieri, ha comunicato al Parlamento che l’intendimento del Governo Meloni non muta e guarda alla piena attuazione del recovery plan, ma in un’ottica di rimodulazione ovvero di prolungamento dei tempi massimi perentori, a partire dalla quarta rata in scadenza a giugno – e che ricomprende gli asili nido e le scuole per l’infanzia – con l’obiettivo di concludere ogni opera entro il 2029 agganciando e abbinando il piano di ripresa e resilienza alla strategia, parallela e distinta ma non separata nel merito, del RePowerEu, ossia il piano strategico della Commissione von der Leyen varato nel 2022 – dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina – per centrare la completa indipendenza energetica del vecchio Continente dai combustibili fossili della federazione Russa entro, guarda caso, il 2030.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI