CAMBI PARTITO? PERDI LA DOTE. LA PROPOSTA DI BEPPE GHISOLFI NEL PROPRIO VIDEO EDITORIALE

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Nel vocabolario popolare, trovarsi il buon partito aveva e ha un significato matrimoniale, abbinato a quello di dote

Nel vocabolario politico, la stessa formula espressiva indica un matrimonio destinato quasi certamente un moltissimi casi a concludersi, fra scuse per chi lascia e traumi per chi è lasciato, ma con la dote, ossia l’indennità parlamentare, che rimane in ogni caso.

Proprio questo è uno dei motivi, come evidenzia il banchiere professore Beppe Ghisolfi nel proprio editoriale, per cui anzi si tende in corso d’opera e di legislatura a cambiare il proprio partito e gruppo politico d’origine e a mutarlo anche successivamente.

Parliamo del trasformismo italico, fin dai tempi del Regno Carlo Albertino e poi di Cavour quindi dell’unità d’Italia e della proclamata Repubblica, con un vortice salito verticalmente dal 1994 a oggi: centinaia e centinaia di parlamentari tendono a cambiare partito, gruppo e talvolta coalizione, ultima scissione in ordine di tempo quella di Di Maio dal movimento cinque stelle di cui è stato capo politico e candidato premier a inizio legislatura in corso, lasciando l’ex premier e collega Giuseppe Conte da solo a discutere dialetticamente con Mario Draghi di cui Di Maio stesso è diventato il fedelissimo per antonomasia.

Quale soluzione legale opporre a un simile andamento? Di Maio stesso, appena quattro anni fa, proponeva il modello portoghese della decadenza automatica dal seggio parlamentare. Basterebbe, sottolinea Ghisolfi, stabilire che chi cambia partito, gruppo o coalizione perde il diritto all’indennità parlamentare sino a fine legislatura. Insomma, decade il matrimonio, decade la dote, “così molto probabilmente ci sarebbe più serietà”.

Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI