Un caso o un caos? Il Pnrr, il recovery plan o (per non dispiacere all’onorevole Rampelli) piano nazionale di ripresa e resilienza, è al centro del contendere fra Lega, risollevata dal risultato elettorale del Friuli Venezia Giulia, e Fratelli d’Italia
Partito quest’ultimo impegnato, in virtù del premierato della sua fondatrice Giorgia Meloni, ad accrescere le proprie credenziali nei salotti di Bruxelles in vista delle prossime elezioni europee e delle ancora più ravvicinate concessioni di cui il nostro Governo ha assoluta necessità dalla Commissione Ursula fin dalle prossime settimane, fra deroghe sulle case green e sullo stop alla vendita dei motori termici.
Il Carroccio, o quello che ne rimane, ha detto a voce alta, in Parlamento, un pensiero che inizia a farsi strada, con toni dimessi ma sempre più preoccupati, fra un maggior numero di decisori e amministratori pubblici: la quasi convinzione che i fondi del Pnrr non siano al cento per cento spendibili nelle condizioni attuali, e che la componente a debito, 120 miliardi su un totale di 191, porti più oneri che benefici all’Italia. I colonnelli di Salvini, in primis il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, hanno dichiarato di avere riportato i disagi e le paure di una parte non piccola del mondo dei sindaci in special modo dei piccoli Comuni, alle prese con procedure tecnico progettuali a detta dei più eccessivamente laboriose e complesse, aggravate da una carenza di personale specializzato rispetto alla quale il piano straordinario di assunzioni del governo Draghi è stato un parziale fallimento.
Gli enti locali sono responsabili della realizzazione del Pnrr per una quota corrispondente a 40 miliardi. Come se ciò non bastasse, il governo Meloni è chiamato di volta in volta a varare decreti correttivi per integrare gli importi a base d’asta, delle varie opere del recovery plan soggette a bando di gara, per fare fronte ai rincari delle materie prime – destinati a non scendere a causa dei previsti aumenti del prezzo del petrolio – e al rischio che i concorsi d’appalto finiscano deserti. A ciò si aggiunga la circostanza che la crisi di liquidità di molti settori d’impresa non incoraggia la partecipazione a tali gare, se non con l’apporto delle banche chiamate a erogare un numero crescente di anticipazioni di cassa alle aziende candidate.
Secondo alcune voci, l’Italia sarebbe in condizione di attuare appena il 50 per cento del piano europeo di investimenti per la ripresa post pandemica, per lo più impegnando al massimo quello che rimane delle società partecipate di Stato e delle aziende economiche pubbliche, le sole in grado di fare da apripista a un privato messo a dura prova da tre anni di lockdown, parziali riaperture e inflazione di guerra.
Giorgia Meloni, tuttavia, non è intenzionata a raccogliere la raccomandazione – provocazione di Molinari, il quale potrebbe avere pronunciato quella esternazione per conto di Matteo Salvini, Vicepremier con delega alle infrastrutture e quindi l’uomo in prima linea negli obblighi di adempimento del Pnrr. Anche perché simili dichiarazioni, ove non concordate, possono esporre l’Italia a nuove penalità sullo spread, o addirittura scoraggiare potenziali investitori inclini, non a torto, a vedere nel nostro Paese una piazza non molto amichevole ai progetti industriali e infrastrutturali di sviluppo.
Da qui l’asse di Meloni con il Capo dello Stato Sergio Mattarella e con i ritrovati alleati berlusconiani di Forza Italia, che sotto l’egida del Ministro degli esteri Antonio Tajani punta ad anticipare gli assetti di quella che potrebbe essere la coalizione tra Popolari e Conservatori (il movimento presieduto a Strasburgo da Giorgia Meloni) in corsa alle Europee del 2024. Schieramento che non annovera i gruppi di identità e democrazia, di matrice più post fascista, dove la Lega di Salvini coabita con i francesi di Marine Le Pen e con i tedeschi di Alternativa per la Germania.
Giorgia Meloni ha pertanto ribadito che “non ci pensa nemmeno” a rinunciare alle risorse del PNRR, le quali semmai devono essere riadattate al mutato contesto scatenato dalla guerra russa in Ucraina, con obiettivi più realistici per quanto riguarda la transizione ecologica e industriale, e in collegamento a una revisione del patto di stabilità che abbuoni, dai calcoli su deficit e debito, le necessarie maggiori spese che occorrono per ripianare i sovraccosti di molte delle opere previste.
Tutti punti sui quali Mattarella, nel corso del colloquio di venerdì con Meloni, si è impegnato a fare da garante nei rapporti con la Commissione europea, e con il commissario Paolo Gentiloni, il quale non a caso ha espresso dichiarazioni accomodanti e non allarmistiche sul rinvio tecnico dell’accreditamento della terza rata del recovery plan al nostro Paese.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




