Diciamo la verità, mi hanno messo in mezzo”. Così Carlo Verdone in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ commenta la vicenda della lista di 1.500 attori e registi italiani, che hanno spinto per il ‘boicottaggio’ di due loro colleghi vicini a Israele, Gerald Butler e Gal Gadot, alla Mostra del cinema di Venezia.
“Mi ha chiamato Silvia Scola, la figlia di Ettore Scola, chiedendomi se volevo firmare un appello contro quello che sta accadendo a Gaza, che va condannato in tutti i modi, nell’ambito della Mostra, manifestando a una platea ampia la sensibilità del cinema, che non è chiuso nell’indifferenza. E ho firmato. In un secondo momento i promotori pro Palestina hanno aggiunto i nomi di quei due attori”, spiega Verdone. Un atto illiberale?
“Non sono d’accordo nell’escludere gli artisti. Anche all’inizio della guerra in Ucraina ricordo il boicottaggio verso i tennisti russi. Ma cosa c’entravano loro? Sono sportivi, non militari né politici, giocano a tennis”, spiega l’attore e regista. A suo dire, “gli attori non possono diventare il tribunale dell’Inquisizione. Un festival è un tavolo di confronto, di tolleranza e di libertà. Questo invece significa censurare. Poi certo non si possono chiudere gli occhi su ciò che sta accadendo a Gaza. So che anche Toni Servillo, anche lui tra i firmatari, si è ravveduto, e sul Corriere è perplesso, coi sui toni pacati e riflessivi, anche Roberto Andò, che non aveva firmato”.



