Determinante il vero dell’Olanda nel cui territorio ha sede la “Borsa” dove vengono svolte le quotazioni alla base, purtroppo, dei rialzi speculativi riversatisi sui conti richiesti a famiglie e imprese
Il ministro uscente alla transizione ecologica, Roberto Cingolani, parla di una vittoria sia italiana che collegiale dimenticando però di precisare che si tratta di un risultato nettamente dimezzato al confronto con ben diverse aspettative iniziali in ordine a tempistiche oramai fuori tempo massimo – a meno che non si applichino criteri di retroattività – e alle tipologie di fonti energetiche da calmierare.
La proposta di tetto, fissata in 180 euro per megawattora, troverà applicazione, nei disegni della Commissione di Bruxelles, nei confronti dei produttori e fornitori di energia idroelettrica, solare, eolica, da biomasse e da nucleare.
Nella sua prospettata evoluzione pratica, la misura impone, per le fatturazioni superiori alla soglia prescritta per unità di misura MWh, che la quota di corrispettivo eccedente, la quale altrimenti verrebbe incamerata dai produttori e fornitori, sia devoluta al bilancio dei singoli Stati appartenenti alla UE con il preciso vincolo di destinazione al finanziamento di interventi a sostegno delle utenze domestiche e aziendali a rischio di default e di diffusa insolvenza a causa dei rincari anomali fin qui verificatisi.
Si tratta di uno schema correttivo, nei confronti degli schizofrenici andamenti del mercato dell’energia in atto oramai dallo scorso autunno e da prima della guerra russa in Ucraina, che rappresenta di fatto solo una parte del complesso degli interventi che si erano in origine ipotizzati con l’obiettivo di disinnescare completamente le cause dei rincari delle bollette. Se la calmierazione dei prezzi dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, o comunque a vario titolo diverse dal gas, era infatti uno dei due pilastri della strategia, all’appello – nella stesura finale della proposta della Commissione von der Leyen da oggi in discussione nelle sedi consultive comunitarie – manca tutto il capitolo relativo alla trattazione del gas e, soprattutto, alla necessità di un “disaccoppiamento” dello stesso dalle fonti rinnovabili.
Fino a quando, infatti, non saranno modificati i criteri di calcolo delle bollette notificate agli utenti finali – cittadini e imprenditori -, non sarà possibile ottenere una significativa riduzione di importi che molto spesso non tengono conto delle condotte virtuose dei consumatori e della propensione degli stessi a utilizzare fonti alternative.
Le normative attuali, in effetti, prevedono che – anche nel caso di adozione di sistemi orientati alla produzione da fonti rinnovabili – la totalità dell’importo sia calcolata come se dipendesse interamente dalla fonte del gas, anche nel caso in cui soltanto una marginale unità di misura utilizzata provenisse da quest’ultimo.
Allo stato attuale, soltanto le proposte varate dal terzo polo – lo schieramento formato dalle liste di Italia viva e di Azione con Carlo Calenda – hanno messo in primo piano questa necessità per poter giungere nel breve periodo a una mitigazione dell’onere delle tariffe, mentre sul versante strutturale la priorità viene posta sull’accelerazione delle procedure necessarie ad autorizzare e mettere celermente in cantiere nuovi impianti di area vasta per l’estrazione, il processamento e l’approvvigionamento di gas alternativo a quello russo, e per massimizzare su scala individuale e collettiva la produzione di energie rinnovabili.
Insomma, un recovery fund sull’energia appare purtroppo come un’ipotesi ancora distante e ancora non alla portata dei decisori di Bruxelles.
L’Italia dovrà continuare a fare affidamento sui propri ridotti margini di bilancio, senza quella necessaria mutualità e mutualismo comunitario che avrebbe potuto opporre uno scudo autentico all’agire di traders e negoziatori spregiudicati in azione sulla piazza di Amsterdam.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




