Geronimo, primogenito del presidente del Senato, a 45 anni siede contemporaneamente sulla Formula 1 di Monza, sul Piccolo Teatro, sulla metro M4 di Milano, sul mondo ACI e sulle società che ruotano attorno a calcio, stadi, assicurazioni e grandi opere
Formula 1, teatro, metropolitana, stadio: più che un curriculum sembra il catalogo generale delle poltrone disponibili nel paese. Si risponde che è tutto “merito”, ma se un qualunque avvocato quarantenne, senza esperienza diretta in regia, drammaturgia o management culturale, si presentasse per il CdA del Piccolo Teatro verrebbe accompagnato gentilmente all’uscita. Qui, invece, motori, palcoscenici e infrastrutture strategiche si tengono insieme con un solo filo: il cognome giusto.
La politica, intanto, recita il solito copione: è tutto casuale, tutto legittimo, tutto normalissimo. Ed è qui che la promessa di Giorgia Meloni “basta amichetti, ora solo merito” mostra tutta la sua indecenza. Mentre il governo sbandiera ministeri “dell’Istruzione e del Merito”, il figlio del secondo uomo dello Stato viene riempito di incarichi pubblici e para‑pubblici come fossero figurine Panini rare. Altro che rottura col passato: è la stessa parentopoli di sempre, riverniciata di nuovo patriottismo e slogan sulla “nazione seria”.
Il punto non è demonizzare una persona, ma un sistema che considera normale che uno stesso cognome occupi caselle chiave in settori che dovrebbero essere indipendenti, controllati, pluralisti. Quando Stato, enti locali, cultura e sport ruotano attorno agli stessi pochi nomi, la democrazia si restringe: non è più una Repubblica di cittadini, ma un gioco di società per dinastie fortunate. Ai giovani si ripete che “bisogna meritarsi tutto”, ma l’unica cosa davvero decisiva resta il certificato di nascita. A quel punto la domanda non è perché Geronimo La Russa collezioni poltrone. La domanda è quanto ancora l’Italia accetterà di fare la comparsa nel teatro di famiglia del potere.



