Sembra ieri che rifiutava di baciare il tacco rialzato di B. giocandosi la premiership; chiedeva l’impeachment per Mattarella che aveva respinto al mittente il governo Conte per un pericoloso prof ottuagenario nella lista dei ministri; si affacciava al balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il Reddito di cittadinanza urlando con lieve eccesso: “Abbiamo abolito la povertà!”.
Era il 2018. Ma sembra ieri pure che accoglieva l’incarico a Draghi dopo Conte con l’immortale “lo ammazziamo in Parlamento”: ed era solo il 2 febbraio 2021, una settimana prima di reincollarsi alla poltrona della Farnesina, diventare più draghiano di Brunetta e perdere i residui freni inibitori, fino a votare con gaudio la schiforma Cartabia che demoliva la Spazzacorrotti dell’amico Bonafede e financo quelle che scassinavano le sue leggi: dl Dignità e Rdc.
Si pensava all’ennesimo, pietoso esemplare di trasformismo. Ma le sue parole all’ammucchiata dei mercanti nel tempio ciellino fanno temere qualcosa di più allarmante: un caso di possessione. Non diabolica, peggio: confindustriale. “Non sono d’accordo ad abolire il RdC per disabili o inabili al lavoro”, ha detto: quindi, per chi lavora con salari da fame, sì. E ancora: “Sono d’accordo con la norma, approvata poco prima della fine del governo Draghi, che permette alle aziende di fare la proposta direttamente ai percettori del reddito e, se non la accettano, di segnalare che la persona non deve più averlo”, perché “la gran parte dei centri per l’impiego ha fallito”.
E chi li aveva costruiti? Lui. Non solo: “Il salario minimo dobbiamo farlo con le aziende, non imporlo per legge. La contrattazione è fondamentale”. E chi è che voleva il salario minimo legale di 9 euro per legge, sottratto alla contrattazione con le aziende? Sempre lui. Se qualcuno non gli chiama subito un esorcista, è capace di affacciarsi al primo balcone e strillare: “Abbiamo abolito Di Maio!”.



