È inevitabilmente rinviato, a causa dei tempi stretti imposti da Bruxelles per la presentazione della manovra economica e di bilancio da approvare prima di Capodanno, l’avvio del nuovo corso politico programmatico alla base della vittoria di Giorgia Meloni e della coalizione di destra-centro di cui ha assunto la guida per mandato popolare il 25 settembre
È stato lo stesso Guido Crosetto, ideologo e primo consigliere di fatto della futura prima Premier donna della storia d’Italia, a ribadirlo in una dichiarazione pubblica ai microfoni dei telegiornali nel giorno stesso del trionfo: “Siccome entro il 16 ottobre (quindi il giorno dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato rinnovati, ndr) il progetto della legge di bilancio per il 2023 va inviato a Bruxelles, è impensabile che il nuovo Esecutivo riesca a scriverlo in un giorno. Draghi ha già dichiarato di non volerlo redigere. Per questo servirà una interlocuzione tra Governo uscente e nuovi eletti, perché il provvedimento dovrà essere fatto a quattro mani”.
Si tratta di una delle conseguenze delle tempistiche, per moltissimi aspetti inedite e per altrettanti inevitabili, indotte dalla necessità di indire elezioni politiche anticipate a fine settembre a seguito delle dimissioni di Draghi e della presa d’atto, da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della non possibilità di ricostituire la maggioranza larga che accordò la prima fiducia all’ex Banchiere centrale prima di Roma e poi di Francoforte.
Semmai, il compito a cui Giorgia Meloni è chiamata è un altro: integrare con fondi reali, quindi non più ricorrendo a quegli artifici contabili che sono stati in più occasioni utilizzati dal ministro uscente del MEF Daniele Franco, i decreti di aiuto e di sostegno a famiglie e imprese contro i rincari delle tariffe energetiche e dei prezzi all’ingrosso e al dettaglio.
È una constatazione oggettiva, e non politica, che una quota significativa degli oltre sessanta miliardi, nominalmente messi a disposizione da Draghi per gli strumenti di contrasto alla crisi da inflazione esogena, sia rappresentata da operazioni di carattere puramente contabile e non dall’attivazione di risorse concrete: in parte dalla redistribuzione di poste monetarie da un capitolo di destinazione a un altro – per ammissione degli stessi Ministri che vantavano il non doversi procedere a scostamenti – e in altra parte dalla riduzione di voci di spesa di cui in precedenza era stato previsto uno stanziamento più alto. Tutto qui: poi esiste la vicenda del cosiddetto “fiscal drag”, ossia il drenaggio fiscale, in concreto il maggiore gettito tributario derivante dall’applicazione delle aliquote delle imposte dirette (Irpef) e indirette (Iva) su redditi e prezzi automaticamente adeguati all’aumento del livello generale del costo della vita.
In altre parole, i benefici che le casse dell’erario statale traggono dal rialzo inflazionistico: esiste una norma, in vigore da oltre trent’anni, che impegna le autorità fiscali a procedere, per atto di giustizia dovuta e non per benevola concessione discrezionale, alla restituzione del “fiscal drag”. Una circostanza che a oggi non è avvenuta o è avvenuta solo in parte, come è stato ammesso da alcuni dei protagonisti della campagna elettorale appena conclusa – da Calenda a Di Maio non a caso sostenitori incondizionati di Draghi – i quali come primo punto dei rispettivi programmi per la lotta al caro bollette avevano inserito la costituzione di un fondo a copertura di tali rincari utilizzando l’extra gettito originato dalla applicazione dell’IVA sui prezzi aumentati dall’emergenza internazionale.
La Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani del Veneto forte di uno dei centri studi più qualificati e ascoltati in Italia, ha già assegnato i compiti a casa in capo al nascendo governo Meloni: il reperimento di 40 miliardi, non contabili ma reali cioè aggiuntivi agli stanziamenti vigenti, prima della conclusione del 2022, per integrare il decreto aiuti ter e opporre uno scudo autentico ai prossimi rincari attesi, purtroppo, da ottobre quando saranno recapitate nelle case delle famiglie italiane, a oggi inserite ancora nel cosiddetto “mercato tutelato” (quello cioè regolamentato dalle tariffe della autorità di vigilanza ARERA), le bollette frutto delle nuove modalità di calcolo “mensilizzato” delle tariffe del gas – e della luce da questo prodotta – e scollegato dalle quotazioni del mercato virtuale olandese.
Peccato però che il nuovo collegamento sia con il PSV, il punto di scambio virtuale tutto italiano che, trattando quantitativi più bassi di idrocarburi, si fonda su prezzi di base più elevati. Tanto che molte associazioni di consumatori hanno già annunciato e presentato esposti alla magistratura amministrativa del Tar per sospendere la decisione ARERA e tornare a bollette trimestrali in grado di attenuare la portata dei rincari. Secondo i movimenti per la tutela degli utenti domestici, il tema non è la mensilizzazione delle fatture energetiche, che espone famiglie e imprese alle fluttuazioni al rialzo dei prezzi, bensì deve essere la rateizzazione delle somme dovute, accompagnata da un diverso criterio di calcolo delle bollette non più dipendente dalle quotazioni speculative del gas, né di Amsterdam né di Roma.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




