Le tensioni finanziarie si sono di nuovo scaricate sull’Italia. Lo spread, la differenza di rendimento (che è un costo all’emissione per lo Stato italiano) fra i Btp italiani e i Bund tedeschi a 10 anni è salito a 224 punti base. Il rendimento del decennale italiano è arrivato al 3,75%, un livello che non si vedeva dal febbraio del 2014.
Fa quasi sorridere oggi rileggere i titoli dei giornali del febbraio 2021, con l’insediamento del governo e quell’“effetto Draghi” in grado da solo di piegare lo spread e portare risparmi “fino a 1 miliardo di euro” sui costi di finanziamento del debito pubblico italiano.
In quell’architettura incompleta e disfunzionale che è l’eurozona, lo spread dipende in larga misura dalla sua Banca centrale, e lo si è visto ancora una volta.
A farne le spese è l’Italia, ma i tecnicismi nascondono decisioni politiche. Oggi la soglia del dolore (per gli spread dei Paesi periferici) che la Bce è disposta ad accettare è più elevata e quindi lo spread dovrà salire ancora parecchio prima di vederla intervenire. Tenere a bagnomaria Roma e compagnia, lasciando il mercato a imporre una certa dose di disciplina fiscale – e mentre le Banche centrali cercano di distruggere la domanda interna per frenare l’inflazione – è, appunto, una scelta politica.



