CON L’AUTONOMIA RISCHIO STANGATA FISCALE IN ALMENO 39 PROVINCE

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In Piemonte e in Liguria sono in bilico i territori di Asti, Biella, Vercelli e Savona

Altro che pace fiscale! Il progetto di autonomia differenziata del ministro Calderoli rischia di condurre a un aumento esponenziale del carico tributario in almeno 39 Province italiane.

A dirlo e confermarlo non sono delle supposizioni prevenute, bensì le statistiche relative al deficit demografico e contributivo elaborate dal quotidiano specializzato Il sole 24 ore su dati Inps.

Sono almeno 39 le realtà provinciali in cui il numero di pensionati risulta essere stabilmente superiore a quello degli occupati e dei lavoratori attivi.

Paradosso nel paradosso, nemmeno alcune situazioni territoriali del cosiddetto profondo Nord risultano essere al riparo, poiché Asti, Biella, Vercelli, Savona e per certi versi la stessa Torino evidenziano problemi di squilibrio non troppo dissimili da quelli cronici verificabili nel Mezzogiorno.

A dispetto della legge Monti Fornero, la riforma del sistema previdenziale che con effetto dal primo gennaio del 2012 ha sancito in maniera potremmo dire irreversibile il passaggio dal sistema retributivo – o a ripartizione – verso quello contributivo – o a capitalizzazione -, le persone che, attraverso le varie deroghe o quote 100, hanno potuto cogliere l’opportunità del pensionamento anticipato o in deroga, risultano essere nettamente un numero superiore agli occupati e agli assunti che versano quei contributi all’INPS essenziali al finanziamento degli assegni di quiescenza.

Il dilemma – che in economia viene definito dilemma del prigioniero – però è un altro: i risparmi, che pure sono stati obiettivi e verificabili, della riforma Fornero, di fatto sono stati ampiamente vanificati dalla circostanza del troppo basso numero di posti di lavoro che sono stati creati dal 2012 a oggi. Parliamo di occupati in grado di generare versamenti contributivi in misura tale da compensare o più che bilanciare il livello delle pensioni erogate in funzione di ciascuna singola area vasta omogenea e funzionale.

È infatti evidente che, relativamente ai casi pregressi, una quota significativa del sistema previdenziale italiano poggi sulla fiscalizzazione, ossia sul contributo che viene fatto pesare sulla fiscalità generale per integrare gli assegni retributivi di fatto rimasti in piedi sino a tutta la vigenza della legge Dini, vale a dire al 31 dicembre 2011.

Che cosa accadrebbe pertanto nel caso in cui la cosiddetta autonomia differenziata trovasse attuazione integrale rispetto a un articolo 117 della nostra Carta costituzionale che prevede tra le materie di potestà legislativa concorrente delle Regioni anche la previdenza integrativa e complementare? Succederebbe che, molto probabilmente, la pressione tributaria territoriale anziché calare aumenterebbe in una misura tale da aggravare i divari geografici non solo tra Nord e Sud ma anche all’interno dello stesso settentrione o Nord Ovest che dire si voglia.

Per questa ragione, prima di procedere a revisioni costituzionali e della architettura dello Stato che si potrebbero rivelare incaute o addirittura controproducenti rispetto all’obiettivo di accrescere la competitività fiscale dell’Italia nei confronti delle altre regioni forti o emergenti della UE, sarebbe opportuno avviare una più che seria ricognizione dei bilanci e soprattutto degli sbilanci che pesano sul presente e ancor più sulle prospettive di ciascuna singola aree geografica del nostro Paese.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI