Abbiamo condotto un’operazione che ci ha consentito di squarciare il velo di un’organizzazione che opera su più piani. – così il procuratore facente funzioni di Catanzaro Vincenzo Capomolla, nel corso della conferenza stampa per illustrare l’esito dell’operazione “Levante”-.
Il piano che abbiamo investigato è quello dell’articolazione che opera sul territorio nazionale, in particolare a Crotone, ma che è in sinergia con una rete internazionale. Una organizzazione dai modus operandi inquietanti perché sfruttava la disperazione dei migranti”.
Durante il blitz, coordinato dalla Dda del capoluogo calabrese ed eseguita dalla Guardia di finanza, sono state eseguite 13 ordinanze di custodia cautelare, ha sgominato un’organizzazione criminale radicata in Turchia e Iraq, con diramazioni in Italia, Francia e Grecia e dedita alla gestione del trasporto via mare di migranti irregolari provenienti, prevalentemente, dal Medio Oriente e da Paesi asiatici come Iraq, Iran, Kurdistan, Afghanistan, Pakistan, Siria, Libano e tendenti ad arrivare sulle coste calabresi.
I costi per la traversata oscillavano tra i 7mila e i 10mila euro
All’incontro con i giornalisti, che si è svolto nella Procura di Catanzaro, hanno partecipato anche il generale Antonio Quintavalle, dello Scico, il comandante regionale della Guardia di Finanza, il generale Gianluigi D’Alfonso e il comandante provinciale delle Fiamme Gialle di Crotone, il colonnello Davide Masucci. Nell’indagine sono stati ricostruiti anche i costi sostenuti dai migranti per effettuare la traversata dalla Turchia alle coste italiane e calabresi, costi che oscillavano tra i 7.000 e i 10.000 euro, a cui aggiungere poi le spese di spostamento in bus sul territorio italiano con biglietti maggiorati del 3% e infine circa 350 euro per il passaggio del confine attraverso il canale di Ventimiglia e l’attività dei cosiddetti “passeur”, per un totale di circa 15mila euro.
Oltre al “peso” economico, i migranti dovevano sopportare anche il disprezzo dell’organizzazione: “Nelle intercettazioni i migranti venivano definiti dai trafficanti con termini come ‘pecore’ e ‘piccioni'”, hanno evidenziato gli investigatori.


