Sarà, è il caso di dire, una vera e propria “battaglia politica” tra visioni contrapposte, elenchi di priorità, urgenze e temi. E non tanto tra le varie “correnti” – che per semplicità vengono indicate dai commentatori – di progressisti e conservatori; quanto tra gli esponenti delle diverse chiese del mondo, a cui in questi anni il Pontefice appena defunto ha voluto dar voce, rispetto agli epigoni della Chiesa occidentale (europea e
di tradizione curiale), che nei Pontificati precedenti ha in qualche modo “dato le carte”.
Per questo, tra i criteri che potrebbero guidare i cardinali elettori, ci sarà l’unità della Chiesa, l’urgenza di mantenerla unita tra le varie spinte centripete e centrifughe che la squassano da diversi anni. La scelta di una figura di compromesso, che tenga unite queste diverse sollecitazioni, potrebbe essere vista come la migliore. A questo proposito, come si spiega meglio qui, un nome spicca su tutti: Pietro Parolin, 70 anni, il cardinale Segretario di Stato, il più conosciuto anche dagli stessi confratelli cardinali.
Tuttavia, il numero due del Vaticano durante il Pontificato bergogliano ha due soli “freni” che potrebbero compromettere la sua corsa: è un diplomatico, e quindi carente di esperienza pastorale (raramente, tranne poche eccezioni – Pio XII -, un Segretario di Stato è diventato Papa); ed è italiano, provenienza che in un collegio autenticamente “mondiale”, “globale”, potrebbe essere letta come non opportuna.



