DEF E SANITÀ PUBBLICA: QUALI SONO I VERI NUMERI? L’ITALIA RESTA SOTTO LA MEDIA UE E TORNA ALL’ERA PRE COVID

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Tra maggioranza governativa e opposizioni parlamentari rimane alto lo scontro politico sui numeri della sanità pubblica italiana, in valori monetari assoluti e in relazione al prodotto interno lordo

Il documento di economia e finanza, il primo dell’era Meloni, ha sancito il bagno di realtà e l’immersione nella real politik del primo governo di destra centro a guida femminile nella storia del nostro Paese.

Le risorse discrezionali sono ridotte veramente a un lumicino di candela: 3 miliardi per la fiscalizzazione degli oneri sociali gravanti sugli stipendi più bassi, 4 miliardi per il finanziamento dell’avvio della riforma fiscale in quota Irpef.

Le altre voci corrispondono a spese vincolate e obbligatorie, rispetto alle quali il compito dello Stato è garantire adeguati corrispondenti flussi di entrata.
La speranza è riposta in una crescita del prodotto interno lordo affidata a fenomeni più esogeni che non endogeni, quindi a un ulteriore sviluppo delle componenti connesse al commercio estero e alle esportazioni, dal momento che la domanda per consumi domestici è destinata a ristagnare ancora sotto i colpi dell’alta inflazione.

 

La sanità pubblica, da questo punto di vista, risente del quadro macro economico appena delineato, e infatti la proiezione pluriennale è che, esaurita l’emergenza pandemica e post pandemica, il peso specifico di questa fondamentale voce dello Stato sociale e del welfare sul reddito nazionale è destinato a ridursi gradualmente e a rimanere, anche nei momenti di maggiore picco, nettamente al di sotto, di oltre un punto, della media dell’Unione Europea.

 

La previsione per l’anno in corso è di un 6,7 per cento in relazione al PIL, a fronte di un 8,1 censito si base UE, mentre dal 2024 al 2026 la prospettiva finale è di un ritorno a un più modesto 6,2. Per almeno tre ordini di ragioni: la prevista variazione al rialzo del prodotto interno, lo smaltimento del pagamento degli arretrati ai sensi dei contratti collettivi di lavoro nel settore, la venuta meno delle spese connesse al contrasto del covid.

 

Tradotto in altri termini: il Governo in carica sembra non avere intenzione di destinare i proventi erariali, derivanti dall’eventuale maggiore crescita economica del Paese, a finanziamenti addizionali nella sanità pubblica; per converso, pare indotto a non voler mantenere i livelli di spesa che caratterizzarono la prima e seconda ondata pandemica e che avrebbero semmai necessitato di essere mantenuti e convertiti nel potenziamento della sanità territoriale e della medicina di base.

 

La riprova ulteriore sta nella circostanza che, da una prima approfondita lettura del relativo capitolo del Def, dell’impatto del Pnrr alla voce sanitaria non vi è sostanziale traccia, se non per il capitolo relativo ai concorsi per le assunzioni di personale sotto il titolo Missione salute; eppure dal piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbero derivare i fondi finalizzati alla realizzazione degli ospedali e delle case di comunità, strutture immaginate per una minima riattivazione dei presidi di territorio progressivamente soppressi negli anni dell’austerità e dei tagli lineari.

 

Vediamo pertanto i numeri, assoluti e percentuali.

Relativamente al 2023, lo stanziamento globale per l’ambito della tutela della salute dei cittadini è quantificato in 136 miliardi di euro, in crescita di oltre 4 rispetto alla nota di aggiornamento al Def di Draghi dello scorso autunno: in percentuale sul PIL, si tratta di una incidenza di 6,7 punti.
Di contro, secondo una serie di stime a partire da quelle messe a disposizione dal leader di Azione Carlo Calenda, le famiglie italiane sono obbligate di fatto a spendere privatamente 40 miliardi annui per ovviare al problema delle liste d’attesa e per acquistare farmaci da banco non coperti dalla mutua pubblica del SSN. Da quest’ultimo punto di vista, la spesa prevista dal Def alla voce dell’assistenza farmaceutica è quantificata in appena 7 miliardi e mezzo.

Nel 2024, la spesa tornerà sotto i 133 miliardi, cifra che però in valori reali potrebbe essere molto più bassa stante il permanere dell’alta inflazione e della volatilità delle componenti energetiche e dei materiali di costruzione che servono a realizzare gli investimenti strutturali del Pnrr.

Siamo quindi in presenza di un documento di scenario macroeconomico che fotografa in senso più statico che dinamico il settore cardine del welfare pubblico; e che sembra fondare le proprie preoccupazioni sul fronte della spesa corrente, inglobando quella maggiore che deriverà dalle assunzioni del Pnrr, piuttosto che sugli investimenti volti al rafforzamento della prevenzione e delle tecnologie diagnostiche, terapeutiche e assistenziali nei singoli contesti locali. Tali materie vengono di fatto demandate alle Regioni e alla fiscalità addizionale.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI