DEFICIT SCHIZZA SOPRA IL 12, LO STATO SI INDEBITA PER NON ALZARE LE TASSE

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I dati contabili dell’azienda Italia, divulgati proprio ieri da Istat e relativi ai primi tre mesi dell’anno, confermano che disavanzo e debito rimangono fuori controllo e che il Governo si gioca tutte le proprie carte sulla ripresa economica, il solo modo per ridurre l’incidenza del passivo statale sul Pil e per poter negoziare favorevolmente, e con una maggiore credibilità europea, la riforma del patto di stabilità e del fiscal compact prima del prossimo Capodanno quando – salvo ulteriori deroghe o proroghe dovute alla imminenza del voto per il rinnovo del Parlamento UE – verrà meno la clausola sospensiva legata a covid e guerra in Ucraina

Lo scenario parrebbe, di prima impressione, quello più tipico delle scelte governative anteriori al 1991: più deficit in cambio di meno tasse o di un’imposizione che per lo meno non aumenti il proprio prelievo su redditi, rendite e profitti; con riferimento al prelievo nominale, ovviamente, visto che quello reale rimane sempre più elevato per effetto dei costi diretti e indiretti degli obblighi burocratici e procedimentali che tutti noi singolarmente conosciamo.

Un ritorno al passato, così potremmo definirlo, che è stato possibile grazie ai provvedimenti di attenuazione del clima di austerity seguiti allo scoppio della prima ondata pandemica nel 2020 e, due anni dopo, agli effetti della guerra russa in Ucraina; ma che, in assenza di un ritorno più che adeguato sugli andamenti del prodotto interno lordo, dovrà per forza tornare in soffitta per cedere il posto a un rinnovato spirito calvinista di attenzione agli equilibri contabili pubblici, con il solo abbuono di quegli eccessivi automatismi monitori e sanzionatori per i Paesi, come il nostro, meno allineati al rigore di bilancio a causa dell’eredità del debito pubblico.

Va da sé che a contribuire al risultato di un disavanzo a due cifre percentuali sarebbe stato, come ammesso dagli analisti dell’Istat, un problema di tardiva riclassificazione del solito super eco bonus al 110 per cento, inserito da Eurostat, l’equivalente UE del nostro Istituto di statistica pubblica, tra le voci immediatamente addizionali al deficit pubblico; una circostanza che non si dovrebbe più replicare nei consuntivi dei trimestri successivi in virtù delle correzioni limitative apportate dal Governo al meccanismo di monetizzazione della maxi detrazione fiscale in edilizia.

A proposito di quest’ultima, così come dell’insieme di tutte le altre “tax expenditures”, ossia le numerose forme di detrazione e deduzione che riducono l’ammontare dell’imposta netta finale dovuta o la base imponibile, la pressione fiscale nominale risulta, come si diceva all’inizio, in calo al 37 per cento in relazione al reddito nazionale, in forza di quel “rapporto di scambio” con la possibilità di contrarre un maggiore disavanzo da finanziare con emissioni dedicate di titoli del debito pubblico, con l’aiuto parallelo della BCE.

Il corso di minore austerità si è inoltre tradotto in un peggioramento del saldo primario – la differenza fra entrate e uscite statali al netto della spesa per interessi sui BTP – e della partita di saldo corrente.
La sola nota positiva è l’aumento delle spese per interessi, cresciute del 22 per cento grazie al ruolo del Pnrr il quale, tuttavia, apporterà al debito pubblico dell’Italia un gravame aggiuntivo di oltre ottanta miliardi di euro da qui al 2026, aggiuntivo anche alle altre variazioni in aumento che si potrebbero in tutto questo frattempo verificare per ragioni diverse ma tutte note e prevedibili.

Dall’economia dello Stato allo stato dell’economia reale, l’Istat sottolinea che nei primi tre mesi dell’anno le famiglie sono riuscite a recuperare il cinquanta per cento del tasso d’inflazione, grazie a una risalita del potere d’acquisto di oltre 3 punti percentuali sospinta dagli effetti del price cap dell’energia importata sulle bollette soprattutto dei nuclei familiari, i quali sono tornati così ad accrescere la propria propensione al risparmio giacente sui conti correnti bancari aspettando tempi meno incerti; diverso è il capitolo delle imprese, la cui quota di profitto, ossia il tasso di remunerazione dei fattori produttivi, è diminuita di circa un punto, dovuto al maggior peso dell’onere del gas sul conto economico, essendo il made in Italy più energivoro della media, a un meno intenso utilizzo degli impianti di produzione, riflesso nel tracollo dell’attività manifatturiera a tutto aprile, e all’esigenza di praticare prezzi ricettivi solo di una parte dei maggiori costi sostenuti, per non perdere troppe quote di mercato interno.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI