DELEGA FISCALE AL TRAGUARDO DI PALAZZO CHIGI: “RIVOLUZIONE” CHE NON FA SCONTI (INIZIALI) AL CONTRIBUENTE

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Ieri il progetto di legge di delega a varare uno o più decreti per il rivoluzionamento del sistema tributario nazionale – e anche locale – è stato presentato alle organizzazioni datoriali e aziendali convocate a palazzo Chigi in rappresentanza dei vari settori produttivi del Paese, dall’agricoltura all’industria, dall’artigianato al commercio alle libere professioni

Il provvedimento, in data odierna, rimarrà pertanto nella sede della presidenza del Consiglio dei Ministri per approdare alla deliberazione del plenum del governo Meloni e intraprendere così il proprio iter parlamentare come disegno di legge da condurre sul binario della definitiva approvazione alla Camera e al Senato.

Una rivoluzione morbida, almeno inizialmente, quella che la Premier ha voluto affidare alla comprovata competenza del fidatissimo Maurizio Leo, da lei proposto alla carica di viceministro del dicastero del MEF con la delega specifica al riassetto dell’italico pachiderma tributario.
Morbida poiché la prima fase della riforma, che dovrà essere conclusa entro la fine del 2024 con l’adozione di più decreti legislativi, avverrà necessariamente a “invarianza di gettito”: ossia, le complessive entrate dello Stato – e degli enti territoriali sottostanti – non dovranno subire cali ma dovranno essere il frutto di una rivisitazione delle basi imponibili in maniera da distribuire il carico delle imposte e tasse in maniera più equa, efficiente e meno discriminatoria tra le varie categorie di contribuenti e di beni e servizi tassabili.

Di fatto, a finanziare le innovazioni della delega saranno i 165 miliardi annui di spese fiscali, ovvero la mole enorme e oramai non più gestibile di tax expenditures, il complesso delle deduzioni e detrazioni che corrispondono a minori entrate per il Governo e dal cui riordino sono attese le novità più importanti e, allo stesso tempo, anche le contestazioni più pesanti da parte dei sindacati che temono, forse giustamente, contraccolpi sui redditi di dipendenti e pensionati.

Può sembrare un aspetto di poco conto, ma non lo è, perché se nel corso dei primi 24 mesi l’imperativo per il Governo è di non poter rinunciare a un solo euro di introiti fiscali, nella fase successiva – e grazie alla avvenuta armonizzazione delle categorie imponibili – il nuovo ordinamento delle aliquote e dei presupposti di tassazione dovrebbe essere tale da alleggerire i redditi medio bassi, depenalizzare la cosiddetta evasione momentanea di necessità, premiare gli investimenti aziendali, mettere fine alla penalizzazione dei redditi da lavoro rispetto alle rendite finanziarie.

Oltre a omologare le no tax area, stabilendo una soglia minima universale di non tassabilità identica per tutti a prescindere dallo status lavorativo, e a fissare un certo coordinamento tra imposizione centrale e locale con il sistema delle compartecipazioni al gettito e l’attuazione del principio di tributi territoriali univoci, chiari e riscuotibili secondo i valori della collaborazione tra ente pubblico impositore e contribuente.

La fase della riscossione, nota dolente per lo Stato ma soprattutto per le categorie tassabili più vulnerabili – dal momento che le cartelle esattoriali giacenti ammontano a un controvalore di oltre 1100 miliardi di euro – sarà, almeno nelle intenzioni del legislatore governativo (dopo 16 anni di fallimenti), regolamentata in modo da graduare il livello delle sanzioni al livello effettivo della gravità della violazione: in altre parole, l’epopea delle cartelle pazze e di notifiche di “multe” di importo addirittura superiore all’entità del mancato versamento iniziale, per cause imputabili a errori formali o a stato di necessità del contribuente privo della liquidità sufficiente, dovrebbe essere finalmente messa in soffitta e mandata al macero; poiché tutti oramai hanno compreso che l’accanimento della macchina erariale verso i cittadini e le imprese tracciabili, e quindi non evasori totali, è controproducente, non favorisce l’emersione dell’economia e aumenta a dismisura i costi di gestione a carico dello Stato e degli enti esattori.

Alle società d’impresa e ai professionisti, strutturati in forma societaria, la delega fiscale propone un menù di sicuro interesse, sempre nell’ottica del principio di rendere omogenee le basi imponibili e di aumentare la competitività sia degli operatori economici già presenti, sia dell’ecosistema Italia come attrattore di investimenti diretti esteri: per questo, viene stabilito il graduale superamento dell’IRAP e la sua contestuale sostituzione con una addizionale Ires (imposta sulle società) con la quale garantire il gettito necessario al finanziamento dei servizi sanitari regionali, oggi affidato alla stessa Irap. Ciò segnerebbe la fine della moltiplicazione delle dichiarazioni dei redditi in funzione del tipo di tributo a cui si è soggetti; contestualmente, l’imposta Ires (erede a sua volta della famosa Irpeg) sarebbe strutturata in non più di due aliquote al 15 e al 24 per cento, con la fissazione di zone di esenzione e di premialità per gli investimenti aziendali in occupazione aggiuntiva stabile almeno biennale.

Appuntamento oggi pomeriggio, pertanto, per il fischio d’inizio di una partita che vede lo Stato in derby con sé stesso e con la propria elefantiaca macchina fiscale. Soprattutto dopo l’infelice passo falso del provvedimento che istituisce l’interpello a pagamento a carico del contribuente che voglia richiedere chiarimenti preventivi all’agenzia delle entrate: quello che dovrebbe essere un servizio universale già ampiamente finanziato dalle imposte di tutti noi, diventa fonte per una ulteriore tassazione di cui certamente non si sentiva il bisogno.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI