Il grande imprenditore, giudicato controverso dai mass media e dai salotti del politically correct, alla vigilia della designazione della sua antagonista, nella persona della vice di Biden Kamala Harris, era stato liquidato troppo frettolosamente da opinionisti e sondaggisti di casa nostra. I quali, questa mattina, hanno improvvisamente scoperto quello che non ha funzionato nella campagna elettorale Dem, ma che era evidente fin da principio agli osservatori imparziali
Trump avrà come vice l’attuale senatore repubblicano ed ex avversario JD Vance
Ha fatto un certo effetto, nel corso di quella che è stata una delle competizioni presidenziali più originali dall’alba della storia a stelle e strisce, vedere che, mentre Kamala Harris si gloriava dell’appoggio di una pletora di artisti multimiliardari, popolari nei concerti ma non nei comizi, Donald Trump vestiva i panni del netturbino ovvero del cameriere al Mc Donald’s.
Parimenti, mentre la sfidante Dem parlava, senza troppa convinzione né cognizione, di politica estera piuttosto che di economia, lasciando intendere che la sua sarebbe stata una presidenza in automatica continuità con quella di Biden – ovvero prosecuzione dei conflitti globali in corso e ordinaria gestione del mercato interno del lavoro – Big Donald non ha mai avuto esitazioni a indicare una strada radicalmente diversa e opposta su ambo i fronti. Respingendo al mittente le accuse di un piano di pace filo putiniano per l’Ucraina, e di un programma fiscale orientato si multimilionari (gli stessi che inneggiavano a Kamala).

Viceversa, il dato che ci viene consegnato dal voto reale è quello di un’America non divisa in due bensì maggioritaria, non ostaggio della paura bensì nostalgica del sogno reaganiano di cui Obama prima e Biden poi l’hanno privata trasformando il Paese “gendarme del mondo” in un impotente generatore di conflitti.
Trump ha conquistato la maggioranza assoluta dei grandi elettori, figura mediana prevista dalla Costituzione federale statunitense, facendola coincidere con la maggioranza assoluta dei votanti popolari, e consentendo ai Repubblicani di assumere il controllo numerico del Congresso – Senato e Camera – in sintonia con il desiderio della gran parte dei cittadini americani di superare le liturgie della politica a tutto favore di una maggiore capacità decisionale delle Istituzioni.

Gli elettori degli Stati Uniti d’America non sono tutti contribuenti a 6 o a nove zeri in dollari, né sono manipolabili da social media pur potenti come X di Elon Musk, prossimo consigliere governativo alla Casa Bianca: sono impiegati, operai, negozianti, piccoli professionisti, eredi di quella “Reaganomics” che permise, tramite il merito lavorativo e la competenza a lavorare sui mercati della finanza e della produzione industriale e terziaria, l’accesso alla proprietà della casa e dell’auto, e l’elevazione scolastica e professionale dei figli.
Questioni che sono state affrontate solo superficialmente dalla Harris, più incline a parlare di un generico ambientalismo, in termini non di rado elitari, o di una superficiale tutela di principio della autodeterminazione delle donne, ignorando invece il clima di insicurezza di queste ultime in rapporto ad esempio alla criminalità urbana.
Argomento, quest’ultimo, sapientemente messo in campo da Trump e dal suo staff, grazie a comizi dove il microfono è stato consegnato ai familiari delle vittime dei delitti di strada, delitti in vari casi compiuti per mano di pregiudicati rimessi in libertà nei distretti governati dalla stessa Harris quando era procuratrice generale della California.
Allo stesso tempo, non ha deposto a favore della sconfitta candidata Dem la circostanza di avere deriso Trump nel passaggio in cui questi denunciava il comportamento “carnivoro” degli immigrati clandestini nei confronti degli animali domestici, in un Paese dove non è bene schernire la sensibilità del folto elettorato animalista, o di avere sottovalutato il malcontento di una parte significativa del blocco progressista direttosi verso Trump grazie all’iniziativa di Robert Kennedy Jr, Ministro designato alla Sanità nella nuova Amministrazione repubblicana.
Il voto popolare, infine, ha spazzato via un certo terrorismo mediatico che dipingeva un’America senza più Servizio sanitario pubblico in caso di ritorno del grande imprenditore immobiliare alla Casa Bianca, o senza più diritti civili. Gli Americani hanno affidato a Trump il compito di domare l’inflazione domestica e di ristabilire il protagonismo del Paese nelle conflittualità globali che si sono moltiplicate nel corso della uscente Amministrazione Biden.

Gli osservatori e gli opinionisti politici europei, che fino all’ultimo hanno cercato di dipingere l’attuale nuovo Presidente USA, il 47esimo, come un secondo Putin, in verità hanno mosso un assurdo attacco alla libera scelta dell’elettorato statunitense di dotarsi di una classe dirigente in grado di salvaguardare i legittimi interessi nazionali in campo industriale, occupazionale e militare.
Esattamente ciò che l’Europa non è in grado di fare a casa propria, e adesso teme che l’ombrello di Washington sia un po’ meno riparante. Ma se il vecchio continente non ha mai avuto un proprio ombrello, le colpe di ciò non possono ricadere su Trump, così come non è da imputare a quest’ultimo il disastroso suicidio della politica edilizia e industriale europea autoconsegnatasi all’ideologia green senza un’attenta analisi preventiva delle conseguenze.
Una delle più drammatiche immagini simbolo della competizione elettorale appena conclusa
Buon lavoro, pertanto, al Presidente eletto degli Stati Uniti, che ha cominciato a vincere non dal fallito attentato di cui è stato vittima il 13 luglio scorso in Pennsylvania, ma da quando è ripartito dalle ansie e dalle quotidiane aspirazioni del ventre profondo della società degli States. Ansie e aspirazioni da cui dovrebbero trarre esempio pure i tifosi nostrani di big Donald, autori di politiche economiche dove Meloni e Salvini non si distinguono da un Prodi o un D’Alema qualunque.
Dir politico Alessandro Zorgniotti





