Donald Trump riapre Guantanamo per i clandestini

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«Avanti come un caterpillar». In dieci giorni Donald Trump ha sconvolto il mondo. A volerle mettere in ordine di rilevanza non si saprebbe da dove cominciare: le prime decisioni del 47simo Presidente Usa sono tutte eclatanti e, le si condivida o meno, perfettamente in linea con il metodo che si è dato: non si guarda in faccia nessuno.

Nel suo staff hanno provato a far notare che mettere in manette gli immigrati irregolari espulsi avrebbe creato un’ondata di sdegno globale, cosa che è puntualmente accaduta, ma a maggior ragione Trump ha voluto che le procedure venissero applicate come previste, tra l’altro da leggi precedenti le sue due Presidenze. «Sono dei criminali che hanno commesso reati e violenze, come dovrei trattarli?», risposta prevedibile.

Così la «deportazione» è cominciata in pompa magna con il Segretario responsabile dell’immigrazione, Kristi Noem, scesa in strada in prima persona a New York alle 7 di mattina per individuare le persone da espellere. Anche lei, già governatrice del South Dakota, coerente con la comunicazione del Presidente: «Vado in strada a raccogliere l’immondizia», ha detto

. E nella tarda serata italiana il tycoon soprende ancora: ha firmato il «Laken Riley Act» come prima legge della sua nuova amministrazione, approvata rapidamente dal Congresso anche con il sostegno di molti democratici: i clandestini accusati di vari reati verranno espulsi o deportati a Guantanamo, dove Trump darà ordine di costruire un centro di detenzione ad hoc per trattenere fino a 30 mila persone. Ma il «repulisti» non ha riguardato solo gli immigrati: al Dipartimento di Giustizia sono stati licenziati in tronco, come promesso in campagna elettorale, i giudici titolari dei processi contro Trump.

Così come ai funzionari considerati infedeli sono stati revocati l’accesso a informazioni riservate e i dispositivi di sicurezza precedentemente assegnati. Tagli al personale sono stati fatti a tutti i livelli dell’apparato pubblico con migliaia di dipendenti invitati a lasciare il lavoro a partire dal prossimo sei febbraio, con otto mesi di stipendio comunque garantito. È il denaro lo strumento utilizzato da Trump per convincere gli interlocutori ad accettare le sue condizioni.