Un romanzo, questo di Carrisi, che fa scoprire le tante cose che si celano nel cosciente e nel sub cosciente, nel prevedibile e nel non prevedibile, nei sogni e nella realtà di coloro che, anche solo per una volta nella vita, hanno pensato di cambiare il proprio modo di esistere
Chi non ha mai provato il desiderio di scomparire da tutto il presente, ricominciare la propria esistenza in maniera diversa ed in un altro luogo ripartendo da zero?
Ecco: leggere queste oltre 400 pagine farà scoprire a tutti cosa comporta, come e quando è possibile tutto questo, ma anche i pericoli, le delusioni e le sorprese che si possono celare nei fatti conseguenti a simili scelte.
Con in più una variante interessante, romanzesca ma pericolosa: il ritorno, dopo molti anni, “dal buio alla luce” di alcuni di essi con intenzioni oscure che producono – direttamente o indirettamente – morti, non sempre con razionali collegamenti tra l’omicida e la vittima.
“L’armata delle ombre” si muove ovunque, divora ed inghiotte ricordi, avvenimenti e persone care senza lasciar capire il perché delle sparizioni, il ricomparire con un nuovo desiderio, quello di uccidere, armata che si riattiva dopo 14 e più anni dalla scomparsa.
Dapprima si scoprono 6 vittime, che poi arrivano a 9, uccise da personaggi scomparsi 17-20 anni prima: Roger Valin, madre malata, stermina l’intera famiglia di un industriale farmaceutico, risparmia un bambino dal quale si fa riconoscere e descrivere, poi riscompare; Nadia Niverman, moglie picchiata, che nel riapparire uccide l’avvocato del marito; Eric Vincenti, agente di polizia, uccide un “becchino” parassita che vive arricchendosi alle spalle dei poveri; uno spacciatore che muore annegato nell’acqua della ciotola del suo cane; il cellulare della 14enne Diana Muller che si attiva dopo 9 anni dalla sua scomparsa; Sylvia la testimone principale, dal comportamento equivoco, che scompare mentre era sotto stretta sorveglianza… insomma personaggi, scene e fatti che non sono bene inquadrati e che sfuggono a qualunque logica.
Ovvio quindi che l’ufficio delle persone scomparse della polizia non capisca nulla: non ci sono indizi, testimonianze, fatti che chiariscano gli avvenimenti nonostante il nutrito gruppo investigativo incaricato dell’indagine: i capitani Stephanopoulus e Gurevich, il “giudice”, “capo supremo”, sempre impregnata di Chanel n. 5, la bionda Joanna Shutton e, soprattutto gli agenti speciali Mila Vasquez e Simon Berish, che praticamente dedicano anima e corpo a questi avvenimenti – anche contro critiche e richiami dei superiori – fino a sbrogliare, a caro prezzo però, l’intera vicenda.
Giocherà un ruolo fondamentale in questo mistero la camera 317 dell’equivoco e tristemente famoso Ambrus hotel.
Una morale, seppur distorta e tutta da interpretare, questa lettura però la racchiude, facendola capire chiaramente.
Non tutto il male che si fa è fine a se stesso e non tutto il bene che si dona produce positività; la leonessa che attacca i cuccioli di zebra per sfamare i suoi piccoli e l’educazione di tanti genitori miopi che non capiscono i loro figli ne sono l’evidenza provata.
L’ipotesi del male approfondisce, en passant, il delicato rapporto madre-figlio. Lo fa in più occasioni, ma in tre condizioni particolari che segnaliamo. Quando Mila scopre una bimba di pochi mesi, figlia di genitori benestanti, tenuta segregata in una cantina e per la comunità mai nata; nella dedizione totale e completa di un adulto alla propria madre gravemente ammalata; nello stranissimo e inconsueto caso del rapporto tra la stessa Mila e sua figlia Alice, la madre poco propensa ai sentimenti, la bimba che si sente sola e abbandonata, pur vivendo sempre con la nonna, con la sua stanza sempre sorvegliata da una videocamera nascosta dalla stessa Mila, che così ha scelto e voluto “per proteggerla”.
Queste situazioni non vengono giudicate ma dall’autore solo proposte per far riflettere, con un paradosso macroscopico: due madri su tre conoscono il nome della bambola più cara alla loro bambina ma non conoscono, non capiscono e non sanno rapportarsi con la loro figlia.
Donato Carrisi, scrittore e regista, drammaturgo e giornalista, è laureato in giurisprudenza con specializzazione in criminologia e scienza del comportamento, ha scritto una quindicina di romanzi vincendo prestigiosi premi in Italia e all’estero, ed inoltre ha vinto il David di Donatello nel 2018 come miglior regista esordiente con il film La ragazza nella nebbia tratto da un suo libro. I suoi romanzi sono tradotti in 30 lingue.
Franco Cortese Notizie in un click


